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Intervista a Adriano Pantaleo: “A teatro tra gli ultrà. Scappai dal set di ‘Amico mio’” Intervista all'attore napoletano che presenta i progetti attuali e ricorda i suoi esordi in grandi successi di cinema e televisione.

Giu 16, 2019

La voce dello schermo ha avuto il piacere di intervistare Adriano Pantaleo. Da bambino ci ha tenuto compagnia con il ruolo di Spillo in “Amico mio”, fiction di successo con Massimo Dapporto, Pierfrancesco Favino e Claudia Pandolfi; è stato lanciato dal prossimo premio Oscar alla carriera Lina Wertmüller in “Io speriamo che me la cavo”; ci ha fatto ridere con i piccoli e dispettosi “intoccabili” di “Ci hai rotto papà” e ci ha accompagnato durante il programma “Il gioco dell’oca” con Gigi Sabani. Insomma, una vera e propria icona degli anni ’90. Ma Adriano Pantaleo non è soltanto questo. Adriano adesso è cresciuto, è molto considerato in ambito teatrale, anni fa ha recitato nella versione teatrale di “Gomorra”, e dal 16 giugno è in scena a Napoli con lo spettacolo “Non plus ultras”, che offre una prospettiva inedita sul mondo degli ultrà. Ma non è finita qui, l’attore napoletano ha anche raccontato del suo esordio come regista, svelato un suo sogno nel cassetto e rivelato un particolare aneddoto dal set di “Amico mio”.

Ciao Adriano, benvenuto su “La voce dello schermo”. Dal 16 giugno ti vedremo a teatro nella tua Napoli con “Non plus ultrà”. Presentaci un po’ questo spettacolo e il tuo personaggio…

“Non plus ultrà” è uno spettacolo a cui tengo tantissimo e nasce dopo un’indagine svolta all’interno del mondo degli ultrà durata quattro anni. Sono l’ideatore di questo spettacolo e l’ho portato in scena grazie all’aiuto di Gianni Spezzano, che ne ha curato anche la drammaturgia e la regia. Io interpreto Ciro, un ragazzo che lavora nella reception di un albergo e che nella vita cerca di farsi gli affari tuoi, stando lontano da tutti gli schemi sociali dei nostri giorni. La sua vita cambia quando conosce Susanna, un’hostess di cui si innamora follemente, nonché figlia di uno dei capi ultrà più temuti della curva napoletana. Ciro capisce, allora, che l’unico modo che ha per conquistare la ragazza e il padre è di entrare a far parte della curva. Per fare ciò si servirà del cugino Salvatore, detto “Lupin”, e si farà introdurre all’interno del mondo del calcio. In questo spettacolo raccontiamo i luoghi comuni sul mondo delle curve e gli effetti che provocano sulle persone. Si tratta di un monologo. Sarà determinante la scelta di Ciro tra l’amore per la maglia e quella per la famiglia e per la vita.

Che rapporto hai con il mondo del calcio?

Sono un grande tifoso del Napoli e penso sia importante raccontare il fenomeno delle curve perché credo che sia il più grande movimento di aggregazione sociale dei nostri tempi. Inoltre, è un ambiente molto variegato perché abbraccia professionisti, studenti, imprenditori, operai, disoccupati, laureati e persone che non hanno studiato. Ci tenevamo a sfatare un po’ il luogo comune che associa gli ultrà alla criminalità. Il nostro è un punto di vista insolito, senza alcun tipo di pregiudizio e che tiene in conto di quelle contraddizioni e degli aspetti negativi che fanno parte di questo mondo.

Cosa ti ha convinto a portare in scena un progetto del genere?

C’è stato un evento che mi ha un po’ influenzato: la morte di Ciro Esposito, il tifoso del Napoli assassinato prima della finale di Coppa Italia del 2014, disputatasi a Roma tra Napoli e Fiorentina. Lui fu colpito da un “tifoso” della Roma che, armato di pistola, ferì Ciro. Il ragazzo morì dopo un’agonia di 60 giorni. Fu un evento che mi colpì tantissimo perché quella sera ero alla partita e ricordo anche gli scontri. Inoltre, conoscevo Ciro perché frequentavamo degli amici in comune e abbiamo anche giocato diverse volte a calcio insieme. Mi sono sentito chiamato in causa in prima persona da questo avvenimento e quando è scomparso ho voluto approfondire cosa si nasconde all’interno del mondo delle tifoserie italiane. Come ho già detto, sono un grande appassionato di calcio, ho frequentato le curve non appartenendo mai a nessun gruppo organizzato. Lo spettacolo è dunque un omaggio a Ciro ma è una storia del tutto inventata, non ha nulla a che fare con lui e non parla di un fatto di cronaca.

Quali sono gli aspetti che ami di più del teatro?

L’aspetto che amo di più del teatro è l’incontro tra gli esseri umani, che è ormai merce rara e sempre più difficile da trovare in un mondo sempre più social. La voglia di riunirsi e di ascoltare ciò che ha da dire qualcun altro è sempre una cosa meravigliosa e rende il teatro un’arte intramontabile, unica, irripetibile e la più affascinante soprattutto in questo momento storico.

Sappiamo che farai parte del nuovo film di Mario Martone. Puoi dirci qualcosa a riguardo?

Il film si chiama “Il sindaco del rione Sanità” ed è tratto dall’omonima commedia di Eduardo De Filippo. Più precisamente è tratto dallo spettacolo teatrale che Mario Martone ha curato insieme alla compagnia teatrale NEST, di cui faccio parte e di cui sono uno dei fondatori. La nostra compagnia lavora da circa dieci anni a San Giovanni a Teduccio, un quartiere complicato di Napoli. Questo film nasce da un’operazione molto bella e dall’unione tra un grande del cinema e del teatro come Martone e la nostra giovane compagnia. È stato un tentativo unico nel suo genere, perché è stata riadattata la commedia ai nostri giorni e apportando diverse modifiche. Ad esempio, il protagonista nell’originale era Eduardo e aveva 70 anni, nella nostra versione invece è interpretato da Francesco Di Leva che ha 40 anni. Questo perché il mondo della criminalità è cambiato tantissimo negli ultimi anni e già un boss quarantenne è quasi considerato un guru all’interno dell’ambiente. Si sono un po’ bruciate le tappe e la criminalità è diventata più violenta e non consente ai boss di arrivare a più di quarant’anni, perché o si è morti o si è in galera. Da questa grande operazione nasce lo spettacolo, che ha girato i più importanti teatri d’Italia negli ultimi anni. Incontrare Mario Martone è stata una fortuna immensa.

Quali sono stati i registi che ti hanno impressionato maggiormente durante la tua carriera?

Nella mia carriera ho avuto la fortuna di incontrare dei grandissimi registi, che sono stati dei maestri sia per la professione che per la mia vita. Ho un rapporto meraviglioso con Lina Wertmüller e sono contentissimo che riceverà l’Oscar alla carriera. Mi sono sentito con lei e le ho detto che ero felice come se fosse stato assegnato a qualcuno della mia famiglia. Il mio rapporto con lei va oltre il film che abbiamo girato insieme e mi ha segnato profondamente la vita. Se oggi sono un attore lo devo anche a lei. È stato bello lavorare anche con Antonio Frazzi, Riccardo Milani fino ad arrivare a Mario Martone, che mi ha impressionato tantissimo per la persona che è, aspetto che gli consente di essere un grandissimo intellettuale. Ma ogni regista con cui ho lavorato mi ha insegnato qualcosa.

Facciamo un tuffo nel passato: “Io speriamo che me la cavo”, “Ci hai rotto papà”, “Amico mio” sono prodotti di successo di cui hai fatto parte. Cosa porti nel cuore di queste esperienze?

Sono legato indissolubilmente a “Io speriamo che me la cavo” perché è l’inizio di tutto. È stata la scintilla che ha fatto sì che entrassi in contatto con un lavoro che ho poi fatto per il resto della mia vita. “Ci hai rotto papà” mi ha consentito di conoscere Castellani e Pipolo, altri due maestri della commedia italiana. “Amico mio” invece è stata la mia prima esperienza televisiva ed è stata unica. Ha avuto un successo straordinario, ha vinto il Telegatto, mi ha dato una grandissima popolarità che difficilmente oggi un prodotto televisivo può dare e che ho saputo gestire grazie all’aiuto della mia famiglia. Aveva una media di oltre dieci milioni di telespettatori a sera e le continue richieste di essere rivisto hanno costretto la Rai a mandare in onda le repliche la settimana dopo la prima messa in onda. Un evento che non capita tutti i giorni. Inoltre, mi ha permesso di lavorare con grandissimi artisti come Massimo Dapporto, Pierfrancesco Favino, Claudia Pandolfi, Ugo Pagliai. Era un prodotto televisivo di grandissima qualità.

Come hai vissuto il cambiamento della televisione dai tuoi esordi fino ad oggi?

Negli anni abbiamo assistito ad un abbassamento drastico della qualità della tv generalista, probabilmente dovuto al fatto che c’è sempre meno tempo per realizzare una serie o un film tv. Io l’ho vissuto sulla mia pelle e ho assistito al cambiamento dell’industria televisiva e cinematografica, che inevitabilmente ha risentito della crisi mondiale e italiana che tutti noi abbiamo patito. Per non parlare poi della crisi culturale. Ovviamente speriamo in un futuro migliore e sono molto fiducioso. In precedenza avevamo toccato dei picchi negativi da cui si può solo risalire. All’interno della nostra compagnia teatrale vediamo una grande voglia da parte delle nuove leve di mettersi in gioco e di provare ad essere innovativi.

In tv è da un po’ che non ti si vede. Con che ruolo vorresti tornare potendo scegliere?

Vorrei interpretare un ruolo da grande e coerente con l’età che ho. Ho sempre portato bene la mia età e negli anni ho sempre interpretato ruoli da ragazzo e da ragazzino. Negli ultimi anni, purtroppo e per fortuna, sono un po’ invecchiato e vorrei provare ad interpretare un ruolo da genitore e padre, come lo sono nella vita reale. Sono sempre stato il bambino e il ragazzo che ha lavorato con l’adulto, adesso vorrei passare dall’altra parte diventando l’adulto che ha a che fare con i più giovani.

Ti sei anche cimentato nel ruolo di regista e di attore con il cortometraggio “Sensazioni d’amore”. Com’è stato spostarti dietro la macchina da presa?

È stata un’esperienza magnifica, mi sono trovato molto a mio agio, più di quanto potessi immaginare. È stato presentato in diversi festival e mi ha dato grandissime soddisfazioni con alcuni premi ricevuti. Tra i miei sogni nel cassetto c’è anche la realizzazione di un lungometraggio da attore e regista.

Quali sono gli altri lavori a cui sei più legato?

Oltre ai ruoli già citati, mi piacerebbe ricordare quando ho presentato “Il gioco dell’oca” assieme a Gigi Sabani per oltre trenta puntate. È stata un’esperienza molto bella e forte perché era la mia prima diretta televisiva. Ricordo con piacere anche la versione teatrale di “Gomorra”, la prima operazione tratta dal libro e che ha ricevuto un grande impatto mediatico anche per le vicende che avevano coinvolto Saviano. Il teatro è riuscito, in quel momento storico, ad incidere sulla vita reale e sul presente. Per questo motivo io e gli altri membri abbiamo deciso di fondare la compagnia NEST.

C’è qualche aneddoto curioso che vorresti condividere con noi?

Ce ne sono tantissimi perché quando ero bambino, sul set, mi sentivo come se fossi all’interno di un parco giochi. Non ero un bambino calmissimo e ne ho combinate di cotte e di crude. Una volta, durante le riprese di “Amico Mio”, mi misi sopra una bici di un tecnico e cominciai a pedalare per le strade di Cinecittà. Avevo nove anni, mi persi e mi ritrovai su un set di un film ambientato nel deserto e nell’Antico Egitto. Per un attimo ebbi la sensazione di essere finito in un altro continente, fino a quando non mi ritrovarono e mi riportarono sul set giusto. Ricordo con grande piacere la grandezza di Cinecittà. Venivano a girare anche i migliori registi di Hollywood, ero presente infatti quando girarono delle scene di “Gangs of New York” proprio lì. Anche il grande cinema statunitense si serviva delle eccellenze nostrane.

Questo portale si chiama “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Pensare alla voce dello schermo mi fa venire in mente un’immagine: una sala cinematografica vuota con una persona seduta al centro di questa, durante una proiezione cinematografica. Questo perché il cinema deve essere un momento in cui una persona si prende del tempo per ascoltare qualcosa attentamente e non semplicemente sentirla mentre è impegnato con uno smartphone.

 

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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