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Intervista ad Antonio De Matteo: “‘Mare Fuori’ ha cambiato la mia vita” L'attore parla del momento d'oro che sta vivendo, partendo dalle esperienza in televisione in "Mare Fuori" e ne "Il Patriarca" fino ai due film "Stranizza D'Amuri" e "Piano Piano".

Apr 19, 2023

Antonio De Matteo sta vivendo un periodo d’oro dal punto di vista lavorativo. Lo abbiamo conosciuto grazie al personaggio di Lino in “Mare Fuori”, ma negli ultimi mesi l’attore è presente in tantissimi prodotti televisivi e cinematografici di successo. Lo stiamo vedendo, infatti, in queste settimane nei panni di Tigre nelle serie “Il Patriarca”, al cinema ha recitato in “Stranizza D’Amuri”, film diretto da Giuseppe Fiorello che sta riscuotendo un grandissimo successo e che affronta una tematica delicata come l’omosessualità nella Sicilia degli anni ‘80, e in “Piano Piano” diretto da Nicola Prosatore con Massimiliano Caiazzo protagonista. Abbiamo avuto il piacere di intervistare Antonio su “La voce dello schermo”, che ci ha parlato di questo intenso ma gratificante periodo, dal successo di “Mare Fuori” e dagli aspetti interessanti che riguardano Lino fino ai ruoli complessi che ha dovuto interpretare sul grande schermo in questo periodo. Questo e altro nella nostra chiacchierata con un interessantissimo attore, partito da un ruolo in “Ocean’s Twelve”, al fianco di attori come Julia Roberts, Matt Damon, Bruce Willis, e arrivato a ritagliarsi il proprio spazio grazie alla serie del momento. A voi…

Salve Antonio, benvenuto su “La voce dello schermo”. Partiamo da “Stranizza d’amuri”. Interpreti Alfredo, il padre di Nino. Com’è stato per te interpretare questo personaggio, un padre alle prese con l’omosessualità del figlio nella Sicilia degli anni ‘80?

Salve a tutti, grazie. Sto cercando di crescere mio figlio con una mentalità più aperta possibile. Ha nove anni, quindi non ha ancora sviluppato una propria identità. Vorrei e spero che sia sereno nella propria vita. Qualora avesse dubbi, spero di essere lì per scioglierli e tranquillizzarlo per spingerlo a essere quello che lui ritenga debba essere. Nel momento in cui avrei dovuto interpretare un personaggio del genere, avrei potuto rischiare di giudicarlo e ho avuta molta difficoltà per non farlo. Fino a un certo punto provavo amore puro per lui, dopodiché ho dovuto anche discuterci, proprio come si fa con le persone che non la pensano allo stesso modo del nostro, ma quello era scritto e quello era Alfredo. È stato come fare una bella chiacchierata con una persona che la pensa in maniera diversa da me ma, allo stesso tempo, ho dovuto interpretare quello che mi si chiedeva. In questo modo ho messo da parte Antonio e ho interpretato Alfredo, con le sue paure, le sue incrinature e le sue oscurità.

Com’è stato cimentarti su questo set ed essere diretto da Giuseppe Fiorello?

È stata una bella novità. Conoscevo Beppe come collega, avevamo già lavorato insieme diverse volte, tra cui in un film in cui era il protagonista. È stato come entrare a far parte di una nuova famiglia. È riuscito a mettere assieme un cast di persone che si sono trovate automaticamente. È un uomo, un padre e un marito accogliente e sa cosa significhi il termine “famiglia” e l’ha allargata oltre la sua. Ancora oggi ci sentiamo e ci scriviamo continuamente, ci vediamo e ci raccontiamo ciò che accade nella nostra vita. Ho trovato un ambiente sano e raro da trovare. Vorrei che accadesse in tutti i set.

Il film ha una responsabilità importante, raccontando anche una storia realmente accaduta. Hai sentito il peso di questa responsabilità?

Non ho sentito mai il peso di una responsabilità, ho sentito più la necessità e il dovere di raccontare questa storia perché bisogna continuare a ricordare avvenimenti del genere e trovo questo film necessario. Beppe è stato in grado di raccontarlo in maniera così delicata che chi si pone il problema è chi vede, non chi lo ha fatto. È lì la forza di questo film, siamo soldati di un esercito senza macchia e senza paura.

Un altro set che ti ha catapultato negli anni ‘80 è “Piano Piano”, quali corde ti ha permesso di toccare?

Per interpretare il Mariuolo ho dovuto perdere dieci chili e mi ha permesso di attivare delle corde strane. Ho attivato un rallentamento del mio corpo e della mia testa necessari nel film. Dovevo combattere internamente con questa voglia di mangiarmi tutto e questo aspetto è stato funzionale per il personaggio: un uomo in gabbia che si mangerebbe chiunque attorno a sé pur di uscirne fuori ma che deve stare attento a non fare passi falsi. Ero in attenzione, in ascolto, guardingo e con scatti d’ira molto forti. Quella condizione di privazione nutritiva è stata incredibile e mi ha aiutato tantissimo.

Dal 14 aprile ti stiamo vedendo ne “Il Patriarca”. Cosa ti ha affascinato di Tigre?

È l’antagonista che si contrappone al personaggio di Claudio Amendola. È un negativo puro, a una sola direzione: quella della malavita. Mentre gli altri personaggi che ho citato in precedenza presentano inquietudini e una parte negativa e un’altra meno. Ad esempio, Alfredo è negativo fino a un certo punto, presenta contraddizioni che non ha mai affrontato. Il Mariuolo affronta le contraddizioni grazie ai protagonisti. Ne “Il Patriarca”, invece, ho dovuto interpretare un personaggio quasi da romanzo ma del tutto negativo.

Che sfida rappresenta per un attore interpretare un ruolo da cattivo?

Da quando ho cominciato a lavorare come attore a pieno regime, grazie a “Mare Fuori”, mi sono capitati una sfilza di personaggi negativi o di antagonisti che mi hanno messo in crisi umanamente. Mi sono sempre chiesto: “Se fossi una persona cattiva?” e ne ho parlato anche con i registi con cui ho lavorato e mi è stato benevolmente detto che ho una forte capacità di empatizzare con questi personaggi e di riuscire a raccontarli senza filtri e senza giudicarli. Non sono mai un giudicante e questa è una delle prerogative che mi sono posto come persona e come attore. È molto interessante perché ho dovuto affrontare una bella sfida nel trovare qualcosa di diverso in ognuno di loro da poter raccontare.

Parliamo di Lino in “Mare Fuori”. Durante la prima stagione non sembrava una figura molto positiva, al contrario delle altre stagioni in cui sembra esserci un’inversione di tendenza. Come giustifichi il suo cambiamento?

Credo che Lino sia nel mezzo tra il bene e il male. Sono contento che si percepisca questo cambiamento verso il bene, anche se credo che non sia mai del tutto positivo e non lo sarà mai. È una persona che è cresciuta, a causa della paura per un proprio genitore e per riuscire a campare in una giungla, come un leone o un predatore. Da piccolo è molto carino ma poi cresce perché si deve adattare a quella che è la giungla e rimane così. Sarà sempre sul “chi va là?”, può darsi che faccia qualche sorriso in più o sposi la causa di qualche ragazzo, che suscita in lui dei ricordi di un’adolescenza che ha vissuto male. Attraverso i ragazzi dell’IPM crede di poter risolvere dei vecchi problemi. Non è del tutto altruista, qualche volta pende verso la luce, altre volte verso il buio. Ormai la sua sopravvivenza è così.

Cosa ami della serie?

Da attore amo la possibilità di costruire una lunga vita. Un personaggio al cinema termina con il lavoro di tre mesi circa e si esaurisce nelle due ore di visione. Mentre quella di “Mare Fuori” è un’esperienza longeva ed è bello vedere come si sviluppa la vita di un personaggio, sto vivendo un’altra vita grazie a questa serie. Da spettatore amo vedere come questi intrecci si risolvono in tutte le puntate. Significa portare avanti una vita e non sai come si concluderà. Professionalmente è stato il cambiamento della mia vita e mi ha fatto rinascere. Lavorare con tutto il cast è stata una manna dal cielo, mi hanno fatto riprendere anche umanamente. Quando ero più giovane ho fatto anche l’operatore sociale, attraverso un’associazione di volontariato ho lavorato all’interno di un carcere e ho cercato di riportare ciò che è successo nella mia vita in Lino e in “Mare Fuori”. Sono molto orgoglioso di questo.

C’è qualche aneddoto che ti piacerebbe ricordare?

Sono molto orgoglioso di Matteo Paolillo per come sia riuscito a far arrivare “O’ Mar For”. Ci fece ascoltare il pezzo in anteprima con una genuinità che io non avevo mai visto. Ci fece sentire la canzone con la prima base, noi rimarremmo estasiati ed era un po’ come stare in campeggio. Rimanemmo lì ad ascoltarlo e, appena finito il pezzo, abbiamo fatto un grande applauso e gli abbiamo dato un supporto incredibile. Questo vivere insieme è sempre presente in “Mare Fuori” e me lo porto sempre nel cuore. Questo spirito di collaborazione, di fare proposte, ti permette di poter creare all’interno di un ambiente sano e protetto. Mi sembra di essere tornato al centro sperimentale, in cui potevi essere liberamente creativo, con la differenza che lì ti trovavi all’interno di una scuola e di una campana. Ho ritrovato questa atmosfera su questo set e non è facile trovarla. Nutro una grande stima verso ognuno di loro e ho un bellissimo rapporto d’amicizia con tutti, anche con i ragazzi più giovani.

Con chi sei più legato dei ragazzi?

In particolar modo con Domenico Cuomo, lo stimo profondamente.

Quali sono secondo te le tappe che hanno segnato positivamente la tua carriera e perché?

Ho fatto tantissimi lavori, non soltanto quello di attore. Ho fatto il cameriere, l’imbianchino, vendevo assicurazioni, i pos, ho lavorato dietro le quinte ad eventi e anche ad “Amici”, faccio ancora il fotografo. La mia vita è sempre stata scandita anche da altri lavori per campare e per sopravvivere. Le mie tappe sono un po’ dettate da quello. Un altro passaggio che mi ha passato a salire di livello come attore è stato sempre un lavoro con Ivan Silvestrini in “Lontano da te”, coproduzione Italia – Spagna, che poi ho ritrovato in “Mare Fuori” ed è stata una gioia infinita. Come prima tappa dico la piccolissima partecipazione in “Ocean’s Twelve”, in cui ho incontrato Julia Roberts, Matt Damon, Bruce Willis e vederli dal vivo è stata una bellissima emozione. Da lì è partito tutto e pensavo si aprisse davanti a me una folgorante carriera poi invece c’ho messo un po’ più di tempo! (ride ndr.). Sono uno di quegli esempi di tenacia, perché ci ho messo vent’anni per riuscire a lavorare grazie a questo mestiere, tuttavia non mi sento di essere arrivato ancora da nessuna parte e non la smetterò mai di pormi degli obiettivi.

Se potessi rubare un ruolo a un tuo collega, quale sceglieresti?

Mi sarebbe piaciuto rubare a Joaquin Phoenix il ruolo di Joker e tra i film italiani uno dei due ruoli interpretati da Luca Marinelli e Alessandro Borghi in “Non essere cattivo”. Tra gli altri ruoli mi sarebbe piaciuto rubare anche quello di Christian Bale in “The Machinist”, e quelli di Daniel Day-Lewis ne “Il Petroliere” e soprattutto ne “Il Mio piede sinistro”, perché mi ha scioccato per la capacità di un attore di riuscire a interpretare un ruolo del genere. Quel modo di recitare mi ha segnato anche nella vita.

Questo portale si chiama “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Significa ascoltare il flusso dei miei sogni. Ricordo che il primo film che ho visto è stato “E.T. – L’extraterrestre” e ogni volta che entro in un cinema rivivo quella magia lì. Quel sogno lo sto vivendo, prima l’ho vissuto da spettatore e, dopo, ho avuto la fortuna, la caparbietà e l’ossessione di volerlo vivere.

 

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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