Lunedì 26 maggio 2025 si conclude la prima stagione di “Gerri”, serie tv in onda su Rai1, diretta da Giuseppe Bonito, ispirata ai romanzi di Giorgia Lepore e che ha per protagonista Giulio Beranek nei panni di un ispettore di origini rom con dei casi da risolvere e con i fantasmi del passato da affrontare.
Abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo”, Cristina Cappelli, che nella serie interpreta Annalisa. L’attrice ha parlato della sfida che ha rappresentato per lei far parte di “Gerri” e degli insegnamenti che le ha lasciato il suo personaggio. Oltre a parlare della nuova serie di Rai 1, Cristina ha fatto un tuffo nel passato – ricordando l’indimenticabile e romantica Matilda in “Generazione 56k” – e nel futuro accennandoci che sarà presto ne “Il capo perfetto”, nuova serie Netflix diretta da Roan Johnson e Niccolò Falsetti e con Luca Zingaretti. Una chiacchierata in cui Cristina si racconta sulle esperienze più significative della propria carriera, sull’amore per il teatro e per la recitazione e sul suo particolare rapporto con la nostalgia. A voi…

Salve Cristina, benvenuta su “La voce dello schermo”. In queste settimane ti abbiamo vista in “Gerri”. Che esperienza è stata per te?
Save a tutti, grazie. Far parte di “Gerri” è stato molto emozionante. Sono originaria di Sala Consilina, in provincia di Salerno, così come lo è il regista, Giuseppe Bonito. Nonostante non lo conoscessi prima di questa esperienza, ho sempre avuto il desiderio di lavorare con lui. Condividere questo progetto con Giuseppe e far parte di un set con un cast di attori giovani, molto bravi e che stimo mi ha reso felice. Sono molto contenta di averne fatto parte.
Quali corde ti ha permesso di toccare Annalisa?
Per costruire Annalisa sono partita un po’ dalle mie origini: ama la vita semplice, il lavoro, il compagno e gli amici e Gerri porta del pepe nella sua vita. Annalisa mi ha permesso di esplorare un amore che non mi appartiene tanto. Ho fatto fatica a comprendere ciò che provava, ovvero il riuscire a distinguere l’attrazione dall’amore incondizionato. È riuscita a mettere da parte la gelosia, l’orgoglio e la delusione e ha scelto di essere presente per Gerri al di là di tutto. È stato l’insegnamento più grande che mi ha dato questo personaggio, perché questo aspetto mi ha messo un po’ in crisi e capirla ha rappresentato la sfida più grande.
La serie è andata molto bene in termini di ascolti. Cosa rende “Gerri” un prodotto vincente?
Oltre a vantare un ottimo cast, una scrittura e una regia molto curati, la serie funziona per diversi motivi: Giulio (Beranek ndr) è una figura carismatica e magnetica e il personaggio di Gerri è molto accattivante e misterioso. La serie parla, inoltre, delle origini, di qualcosa che va al di là del racconto di un poliziotto rom e ci accomuna tutti. Infine, ogni puntata è incentrata su un caso da risolvere, ma allo stesso tempo si percepisce che c’è qualcosa di più profondo che si muove e che deve essere sciolto. È una serie che ti suscita curiosità e ti spinge ad andare avanti per conoscere meglio il protagonista.
Cosa ammiri di Annalisa e cosa dovrebbe ammirare da Cristina?
Il suo amore incondizionato per Gerri va al di là del desiderio e lancia un messaggio che dice: “voglio esserci per te”. Credo che sia un bellissimo pregio e che mi piacerebbe avere. Io, a volte, nei rapporti metto l’ego in primo piano. A sua volta, Annalisa, invece, dovrebbe imparare da me a essere meno naif, a fare delle scelte con convinzione, a essere più definitiva e risoluta, soprattutto nel rapporto iniziale che ha con il compagno e con Gerri.

Una delle esperienze che abbiamo amato e in cui ti abbiamo ammirata è stata “Generazione 56k”. Cosa porti nel cuore di Matilda?
È nel mio cuore e lo rimarrà per sempre. Ha rappresentato la mia prima grande esperienza e il mio primo ruolo importante in una serie tv. È stata una grandissima sfida per me, che mi ha fatto crescere e l’ho amata tanto perché ho dato cercato di dare il massimo in questa interpretazione. Porto nel cuore la sua dolcezza. È una serie che mi ha regalato tanto sia dal punto di vista lavorativo sia da quello umano e ha creato rapporti intensi e veri. Angelo Spagnoletti e Sebastiano Kiniger, infatti, sono diventati due dei miei più cari amici.
Sia in “Generazione 56k” sia in “Gerri” ti sei ritrovata al centro di triangoli amorosi…
Sì, è un aspetto curioso, anche perché non ho mai tradito nella mia vita! (ride ndr) Mi ha fatto molto sorridere rivivere delle dinamiche simili tra Matilda e Annalisa e in cui mi ritrovo al centro di due fuochi.
La nostalgia era un concetto chiave di quella serie. Cosa ricordi di quel set?
È stata un’esperienza particolare, perché l’abbiamo girata nel periodo del Covid ed è stato come fare una quarantena tra di noi. Abbiamo fatto una full immersion totale per tre mesi, vivendo con le stesse persone, non vedendo nessun altro e condividendo con loro paure, amicizie e divertimenti. Questo ha fatto sì che si creasse una squadra molto affiatata e ha reso tutta l’esperienza più magica. Quando siamo andati a girare a Procida abbiamo trovato un’atmosfera surreale: non era estate, era vuota ed è stato come se ci fossimo impadroniti dell’isola.
Sei nostalgica?
Tanto! Tendo spesso a guardare al passato sia nel bene sia nel male. Capisco che a volte sia difficile pensare a ciò che si è perso o che è andato, ma ho romanticizzato tanto il concetto della nostalgia. Ricordo che da bambina, a fine estate, mi fermavo a guardare il tramonto pensando a tutta l’estate che se n’era andata, alle uscite con gli amici, al divertimento e mi piaceva provare quelle sensazioni.
Cosa ti manca del passato?
L’assenza dei social, per l’uso che ne viene fatto. Credo che prima si vivesse il mondo in maniera diversa. Ho un rapporto un po’ conflittuale con i social network: da un lato ne sono molto attratta, capisco la potenza e mi piace la possibilità di essere creativi e di esporre la propria creatività; dall’altro però creano un senso di inferiorità costante e ti senti sempre indietro rispetto agli altri. Del passato mi manca, inoltre, il contatto più concreto e umano e con meno paragoni, perché si viveva più concentrati verso quel momento.
Hai fatto tantissimo teatro nella tua carriera. Cosa rappresenta per te?
In questo momento sto studiando con Michèle Londsdale Smith, che ha fondato la compagnia canadese e newyorkese Gracemoon Arts e stiamo per presentare la compagnia italiana. Il teatro è meraviglioso e magico. È un atto di fede, di amore e di fiducia tra pubblico e l’attore e nel quale si crea uno scambio di energie. Lo spettatore guarda e si lascia attraversare da chi è sul palco e il performer a sua volta si regala a chi lo guarda.
Il teatro è il mondo del “qui e ora”. C’è stato un imprevisto che ti ha messo a dura prova durante la tua carriera?
Ho lavorato tanto con Maurizio Crozza in “Fratelli di Crozza” ed è stata una grandissima scuola perché si creava una situazione teatrale – essendoci un pubblico presente – oltre a esserci anche la diretta televisiva. Una volta sbagliai la battuta perché mancai l’aggancio comico e balbettai qualcosa. In quel momento avrei voluto sotterrarmi! (ride ndr). Alla fine, riuscimmo comunque a portare a casa lo sketch. Credo sia stato il momento più impegnativo che ho vissuto. Tuttavia, è stata un’esperienza che mi è servita tanto e, durante la mia carriera, sono sempre stata circondata da belle squadre di lavoro. Mi ritengo fortunata ad avere avuto maestri a cui mi sono sempre affidata e che mi hanno insegnato tanto.
Ci sono altre esperienze a cui sei maggiormente legata e perché?
Abbiamo appena finito di girare una serie Netflix che si intitola “Il capo perfetto” diretta da Roan Johnson e Niccolò Falsetti ed è stata un’esperienza bellissima che mi ha permesso di lavorare con Luca Zingaretti. Sono onorata di aver lavorato con lui. Nel periodo delle riprese della serie, ho seguito contemporaneamente le lezioni di Michèle Londsdale Smith e questo doppio impegno mi ha fatto capire ancora di più quanto ami questo lavoro, perché per tre mesi non è esistito nient’altro ed ero follemente innamorata di ciò che facevo.

Cos’è per te la recitazione?
È un’arte potentissima, in cui tutti ci possiamo riconoscere. È una salvezza, perché fa da specchio all’essere umano. Comporta una grande responsabilità per gli attori, perché dà la possibilità di raccontare, di riflettere e di scoprire qualcosa. Mi permette di mettermi in discussione, di indagare per poi di svelarmi per ciò che sono. Credo che l’attore debba fare proprio questo: raccontare qualcosa di vero che lui possiede, che riconosce e che comprende nel personaggio che interpreta.
Come ti senti quando reciti?
Ho sempre il batticuore. Mi sento come se fossi sopra una scogliera e stessi per buttarmi di sotto. Mi spaventa inizialmente, perché è qualcosa di cui non ho controllo e mi mette nella condizione di mettermi a nudo. Ma l’amore che provo per questo mestiere è talmente grande da farmi dire: “Dai, buttiamoci”.
Se fossi una giornalista che domanda faresti a Cristina?
Le chiederei come si definirebbe e risponderei che mi definirei “terra”, come il mio tatuaggio che ho appena fatto. Mi sento molto concreta, amo l’artigianato e sono testarda, caratteristiche che caratterizzano il mio segno zodiacale, il toro. Allo stesso tempo, sono anche ascendente sagittario e sono un po’ sognatrice. Mi sento tra la terra e l’aria, con la testa con le ali e i piedi piantati a terra.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Emozionarmi, viaggiare e sorprendermi.
Di Francesco Sciortino