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Intervista a Francesco Montanari: “In ‘Maschi Veri’ riflettiamo attraverso l’ironia sul maschilismo e sulla crisi dell’uomo. Amo raccontare storie che mi parlano” L’attore si racconta su “La voce dello schermo” presentando la nuova serie di Netflix e parlando di alcuni momenti significativi della propria carriera.

Mag 20, 2025
Foto di Alessandro Montanari, Ufficio Stampa: Lorella Di Carlo

Ci ha fatto inchinare di fronte alla sua interpretazione nei panni dell’ottavo re di Roma, il Libanese in “Romanzo Criminale – La serie”, ci ha fatto ammirare l’ambizione personale di Saverio Barone ne “Il Cacciatore” che gli è valsa la Palma D’Oro a Canneseries, ci fatto addentrare all’interno del complesso mondo del calciomercato vestendo i panni di Corso Manni ne “Il Grande Gioco”. Adesso, Francesco Montanari è pronto a farci sorridere su Netflix interpretando Riccardo in “Maschi Veri”, la nuova serie diretta da Matteo Oleotto e da Letizia Lamartire con protagonisti, oltre a Francesco, Matteo Martari, Pietro Sermonti e Maurizio Lastrico. Un’ennesima prova di quanto l’attore sappia ridisegnarsi in personaggi e in generi profondamente diversi tra loro.
Abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo”, proprio Francesco Montanari, che ha raccontato come “Maschi Veri” affronti con ironia la tematica del maschilismo, offrendo diversi spunti di riflessione, e ha, inoltre, presentato il personaggio di Riccardo, riflesso di un uomo in crisi e con le proprie insicurezze. L’attore ha, inoltre, ricordato l’interpretazione nei panni di Saverio Barone ne “Il Cacciatore” e ovviamente quello che probabilmente è il personaggio più rappresentativo della serialità italiana: Il Libanese di “Romanzo Criminale – La serie”, che farà rivivere nuovamente nell’attesissima nuova stagione di “Call My Agent”. A voi…

Foto di Alessandro Montanari. Ufficio stampa: Lorella Di Carlo.

Salve Francesco, benvenuto su “La voce dello schermo”. Dal 21 maggio ti vediamo su Netflix in “Maschi Veri”. Cosa hai amato di questo progetto?

Salve a tutti, grazie. Ammiro che si affronti una tematica del genere con realismo e con garbo, raccontando situazioni quotidiane abbastanza frequenti purtroppo, dov’è presente un maschilismo non consapevole e molto spesso mascherato da progressismo. Inoltre, incontrare Matteo (Martari ndr), Maurizio (Lastrico ndr.) e Pietro (Sermonti ndr) è stata una grande gioia.

Com’è stato fare gioco di squadra con loro?

Sono molto contento, ci siamo messi in gioco tutti quanti, abbiamo legato molto, instaurato un rapporto bellissimo e mi fa piacere che sin dalle prime scene – che non abbiamo girato in sequenza – sembriamo amici da una vita. Secondo me, quando si crea un ambiente del genere è una conquista molto importante. Sono tutti grandi professionisti e ci compensiamo molto bene come tipologia di attori perché siamo molto diversi ma alla fine cerchiamo tutti un’umanità profonda nelle nostre interpretazioni.

Crediti: Netflix

Quale opportunità ti ha regalato Riccardo rispetto agli altri personaggi che hai interpretato?

Riccardo incarna, ahimè, un uomo molto comune e non ambizioso e che ha una vita abitudinaria. Si crede un playboy e ha bisogno di sedurre perché fondamentalmente nasconde tantissime insicurezze. Mi è piaciuto giocare con questo tipo di umanità che conosco e che riscontro in uomini a me più o meno vicini o lontani.

La serie esplora il maschilismo. Cos’è per te e cosa rappresenta essere maschi nel 2025?

Il maschilismo è uno status quo assodato e accettato come normalità perché è eredità culturale di tradizioni e di conquiste. Secondo me oggi, come racconta Brunori Sas ne “La Ghigliottina”, l’uomo è un po’ in crisi. La donna ha fatto passi avanti enormi e tangibili nella propria conquista e affermazione d’indipendenza, mentre l’uomo si trova in una condizione in cui non sa bene cosa fare nel concreto. Il maschilismo è l’ostentazione del ruolo sociale perché, quasi ideologicamente, bisogna seguire sempre ciò che è stato e non chiedersi ciò che sarà, non comprendendo che proprio ciò che sarà è frutto di ciò che siamo oggi.

Crediti: Netflix

Il teatro è, invece, un altro mondo che continui a esplorare e a te caro. Cosa riesce a darti?

Dirigo un teatro assieme a Davide Sacco, produco teatro e ne ho fatto così tanto che in un palcoscenico mi sento a casa. Mi fa sentire bene, non che non mi ci senta nei progetti che riguardano l’audiovisivo, ma al momento il teatro è alla mia portata anche come produttore. Un domani mi piacerebbe fare questo salto anche tra cinema e serie tv. A teatro, se hai un testo in cui credi riesci a metterlo in scena e non subisce censure di alcun tipo. Il palcoscenico è la grande palestra dell’attore, soprattutto se si è alla ricerca di un’indagine umana all’interno della recitazione.

Come mai grandi autori come Čechov e Shakespeare sono sempre attuali a teatro?

Perché le tematiche che trattano sono universali, trattano l’essere umano per ciò che è e non per ciò che dovrebbe essere e hanno scritto degli archetipi riprendendo tutte le tematiche possibili dell’essere umano. In fin dei conti, “Il re leone” è la storia di Amleto. Sin dai tempi delle tragedie greche, i grandi autori sono stati, prima di tutto, grandi studiosi dell’uomo e credo sia questo il motivo del loro essere sempre attuali.

Come si riescono a rendere moderni per le nuove generazioni?

Basta portare le nuove generazioni a teatro. Sono opere che parlano da sole, non c’è da preoccuparsi. Bisogna farle in maniera realistica e non tromboneggiante. Ormai il teatro non è più aulico inteso come finto, adesso è verissimo e avviene uno scambio umano molto importante. Basta avere una realizzazione credibile e alla fine le persone lo amano. Lo faccio tutti i giorni. Il nostro “Amleto”, all’Anfiteatro di Terni, ha fatto più di tremila paganti ed è un segno importante.

Il teatro è un luogo fondamentale per i movimenti del corpo e per la voce. Riguardo lo sguardo, quello del Libanese, quello di Saverio Barone e quello di Corso Manni erano diversi tra loro. C’è un lavoro attorno allo sguardo di un personaggio?

Il carapace, cioè il nostro corpo, è l’esterno di un modo di pensare, di guardare il mondo e di un punto di vista che può essere consapevole o inconsapevole. Lo sguardo – così come il modo di parlare o di respirare – è il frutto di come si pensa. Se osserviamo le multi-personalità, come esempio, improvvisamente si assiste al cambio di sguardo, di attitudine e nel percettivo dell’altro sembrerebbe quasi mutare corpo.

Saverio Barone ne “Il Cacciatore” ti ha permesso di ottenere la Palma D’Oro a Canneseries e di consacrarti anche all’estero. Cosa ha rappresentato per te questa esperienza?

È stata una bellissima esperienza, che mi ha permesso di incontrare grandi registi, all’interno di un progetto scritto benissimo, con un ottimo cast, una produzione e una fotografia esemplare. La Palma D’Oro è arrivata di sorpresa, non pensavamo nemmeno di partecipare e invece abbiamo vinto. È una di quelle serie di cui vado molto fiero e, secondo me, come “Romanzo Criminale”, è stata spartiacque nel mondo generalista. Ho avuto la fortuna di fare grandi personaggi nelle serie ed è un privilegio in Italia.

Cosa fa sì che un personaggio come quello di Saverio Barone funzioni?

È stato interessante lavorare sulla sua ambizione personale. Saverio funziona perché, non essendo un fumetto, possiede luci e ombre. Non è una fiction, ma una serie. La fiction lavora su stereotipi, mentre la serie su archetipi. Non parlo di qualità, ma a mio parere la fiction è come se fosse un fumetto, mentre la serie è la rappresentazione dell’umano.

Per un attore come si naviga tra i concetti di eroe e di antieroe?

Non te ne curi. Fai semplicemente quello che c’è scritto sulla sceneggiatura, evitando ogni forma di giudizio.

Sappiamo che state preparando una sorta di reunion di “Romanzo Criminale – La serie” nella nuova stagione di “Call My Agent”. Con che stato d’animo hai affrontato questa esperienza?

Abbiamo appena finito. È stato molto bello rivedersi in quei finti panni di personaggi ormai mitologici ed è stato divertente giocare insieme così. Secondo me, sarà un episodio romantico per tutto quello che rappresenta “Romanzo Criminale”.

Che rapporto c’è con il Libanese?

È un bel ricordo.

In alcune interviste, in passato, dichiarasti che dopo averlo interpretato – durante i primi anni della tua carriera – è stato un po’ impegnativo ottenere altri ruoli. Sei mai stato arrabbiato con lui?

No, perché avrei dovuto? Sono passati quindici anni, si trattava di un momento storico diverso rispetto a quello di oggi, in cui le serie tv sono accettate e sono diventate un vero e proprio status quo. Era una novità, c’era ancora una sorta di ghettizzazione dal cinema alla televisione e all’inizio è stato un po’ complicato, poi però sono tornato sereno. Ma non sono mai stato arrabbiato con il Libanese, mi domandavo perché il sistema mi volesse soltanto come lui.

Ti sei mai dato una risposta?

No, ho smesso di chiedermelo perché sono domande a cui non avevo colpe fondamentalmente, perché non dipendeva da me ma dal percettivo e nel mio lavoro questo aspetto influisce un po’. Ma era un altro momento storico per la recitazione. Il tempismo è tutto nella vita! (ride ndr)

Chi è Francesco artisticamente?

Non saprei, sono sempre alla ricerca. Ho capito che amo raccontare le storie che mi piacciono e che mi parlano. A volte ci riesco, altre meno ma credo che sia l’obiettivo della mia vita professionale, sia su un palco sia davanti alla macchina da presa.

Chi o cosa vuole essere ancora?

Vorrei essere tante cose a livello professionale. Ho scritto la mia opera prima da regista, mi piacerebbe fare quel salto e credo ci siano molti ruoli a cui posso dare ancora tanto cuore.

Se fossi un giornalista che domanda faresti a Francesco?

Gli chiederei se è felice e risponderebbe: “dipende”, “a tratti”.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Significa condividere.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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