Dopo la grande accoglienza alla Festa del cinema di Roma, “Anna” si prepara ad approdare nelle sale il 6 novembre. Il film diretto e interpretato da una straordinaria Monica Guerritore, prodotto da LuminaMGR, Masi Film e Mediaflow con Rai Cinema, ci offre un commovente sguardo sulla vita poco raccontata di Anna Magnani. Nel cast troviamo anche Tommaso Ragno, Lucia Mascino, Roberto De Francesco e Beatrice Grannò.
Abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistare – su “La voce dello schermo” – Monica Guerritore, grande simbolo della recitazione italiana, drammaturga e autrice che continua a stupire e a mostrare una grande voglia di mettersi alla prova attraverso il cinema e il teatro. In “Anna”, infatti, è riuscita a realizzare un’opera rara, capace di accarezzare l’anima dello spettatore e allo stesso tempo colpirlo per catapultarlo all’interno dello stato d’animo di una delle attrici più apprezzate della storia del cinema: Anna Magnani. Un viaggio tra solitudine, fragilità, forza, autenticità, il dolore per la perdita dell’amore Rossellini e la caparbietà nel saper dire di no, raccontato con cura e grazia da un’icona del nostro cinema: Monica Guerritore. A voi…

“Anna” racconta gli stati d’animo, l’esuberanza e soprattutto l’umanità di Anna Magnani. Come mai ha deciso di raccontare questo personaggio?
Perché di Anna Magnani abbiamo una grande memoria, un ricordo potente, forte e delineato nelle sue interpretazioni – che sono vive sullo schermo – ma di lei non sappiamo quella che è stata la sua vita privata. La trama sentimentale e personale è stata, infatti, intessuta da fatti passionali, tradimenti e allo stesso tempo anche grandi cadute. È stato interessante mostrare come le abbia affrontate. Sappiamo che, in questo momento, c’è una fredda comunicazione. Dobbiamo tornare all’umano. Ho cercato di ricordare la storia di Anna Magnani con uno sguardo commosso sulla sua avventura umana.
Emerge il suo essere combattuta tra fragilità e forza, sembra quasi su un’altalena…
Durante il film, lei ammette di essere forte perché non ha avuto altra scelta. Ha dovuto combattere perché non c’era nessuno che lo facesse per lei. È una donna sola. La fragilità si rivela anche quando strilla, come fanno i bambini, perché lotta contro qualcosa che le vorrebbe impedire di mettere nel mondo il suo talento, non facendola più lavorare. Le chiedono di cambiare, ma lei ci ha consegnato un grande rispetto per sé stessa. È una donna che ha detto “no”, che non voleva che le venissero toccate le sue rughe o mostrarsi diversa da come fosse. Emerge la difesa della propria persona.
Riguardo la sua regia, ha messo in atto diverse tecniche per rendere il mondo complesso di Anna Magnani. Si percepisce il teatro, paesaggi che non passano inosservati, la musica che svolge un ruolo molto importante e momenti che sembrano quasi rallentati…
Sono quei momenti in cui la verità che stai cercando di portare sullo schermo ha bisogno di essere, in qualche modo, accompagnata dalle leve della fascinazione. La musica racconta ancora prima quello che vedrai e ti fa percepire ciò che sentirai. Il sentimento porta in scena la musica. La luce ti racconta se è ombra o se è giorno. La scelta dell’inquadratura ti fa capire che, se il corpo è piccolo e c’è lo sfondo, si tratta di cinema; mentre, quando siamo dentro il personaggio, è teatro. Si percepisce la potenza del palco, che Anna Magnani usava provenendo dal teatro. Per lei che è un’attrice molto potente, questa chiave era importante perché è la sua abilità. Quando strilla non è finta, è vera ma è enorme. Sono le caratteristiche della presa da vicino e questo aspetto viene sottolineato.
Ci sono delle parti che sembrano richiamare al melodrammatico…
A volte lo sono, perché servono come servivano a Rossellini nel momento in cui, durante le battute sulla guerra e sulla primavera, inseriva la musica. Il neorealismo è proprio il vedere la realtà attraverso una nuova visione, che è quella della finzione. Noi siamo sullo schermo. L’aspetto più interessante che ho dato è che lo sguardo non appartiene né a me né ad Anna Magnani, ma a una terza persona. Io divento Anna Magnani attraverso l’assunzione dei suoi ricordi, che sono quelli che le segnano la vita, che guardo con lo sguardo di traverso, sul fondo, come se emergessero dall’acqua: vediamo, ad esempio, il bambino che sta male o la corsa in “Roma città aperta” ed è come se io fossi la macchina da presa, divento lo sguardo che comincia a fare arrivare il passato della Magnani, che fa in modo che io diventi lei. È un procedimento lento che permette al pubblico di acquietarsi dentro un’ombra che prende una sembianza.
Un’altra chiave di cui parla il film è la ricerca dell’autenticità, con cui deve convivere sempre un attore. Come si arriva all’autenticità?
Disegnando il proprio personaggio. Non sei tu, non sarai mai autentico. Può esserlo invece il personaggio. Se lo disegni nella mente, sai che cosa deve fare e cosa prova. A quel punto, se non vieni disturbato, il personaggio diventa autentico, gli hai dato una forma e tu scompari come interprete. Diventa importante anche la qualità delle tue scelte estetiche o sentimentali da attribuire a quel personaggio.
Cosa pensa di condividere con Anna Magnani?
L’età e la forza del carattere. Ho combattuto una guerra per riuscire a portarla al cinema nel disinteresse del mondo produttivo e, adesso, è nelle sale e alla Festa del cinema di Roma. A fare in modo che avvenisse sono stati la mia caparbietà e il desiderio di fare qualcosa di importante ed è anche ciò che ha avuto lei.
Alcune citazioni di Anna Magnani nel film ci fanno comprendere tanto del suo modo di essere. Una di questa è: “Ce l’ho fatta. Come ce l’ho fatta io potete farcela anche voi”…
Sì, denota la sua identificazione con le persone e con le donne. Basta quello per dire: “Esatto, siamo insieme. Combattiamo le stesse battaglie ma, insieme, come me, potete farcela”. Un’altra parte molto interessante e raffinata è stata la fine così brusca della storia d’amore con Rossellini. Dopo solo un anno e mezzo di grande amore, dopo un telegramma che le fa perdere la testa perché l’uomo era un genio e aveva un aspetto che lo rendeva seducente, ma anche un superficiale e un vanitoso. Lei dice: “Lui ha perso la brocca”, che descrive cosa accade a Rossellini e “Io ho perso tutto”, che descrive lo stato d’animo di Anna. L’uomo, però, si rivelerà diverso quando lei starà male e ritornerà l’amore che rimarrà fino alla fine.

Un altro aspetto che emerge era il suo amore per gli animali e il fidarsi soltanto di loro…
Gli animali non ti tradiscono, si affezionano e restano. Attraverso il suo amore per gli animali percepiamo la sua solitudine e la sua paura di essere ferita. È la carne a contatto con il mondo, è scorticata e sa che può essere ferita. Lo è stata, attraverso due dolori che hanno segnato la sua vita e sta attenta. Infatti, dopo Rossellini non si legherà più a nessuno. La solitudine la porta tra le braccia di giovani ma, quando lui tornerà, si vede l’amore che non muore.
Anna Magnani dice: “Sono diventata ingombrante”. Lei, Monica Guerritore, si è mai sentita così?
Ogni tanto, quando cercavo di fare emergere il mio punto di vista su qualcosa. Di solito, quando lo fa un uomo, gli viene riconosciuto che ha carattere e che si impone; mentre una donna diventa ingombrante. Vieni definita ‘ingombrante’ se vuoi dire la tua e vuoi metterti in gioco.
Dove trova la forza per mettersi in gioco?
Sono come un palombaro, ho bisogno di andare sotto per cercare di capire cosa accade agli altri esseri umani. Questo è il mio mestiere e approccio i personaggi provando sempre a capire cosa ci sia dietro ognuno di loro. È un’indagine. Perché l’essere umano, soprattutto femminile, è così complicato, così difficile e delicato. Cosa c’è di più bello che mettersi dalla parte dell’altra, vedere come ci si sente e farlo sentire anche al pubblico? La gente, vedendo il film, capirà e si commuoverà. Trasmetto al pubblico come si è sentita lei: questo è il mio mestiere.
Drammaturga, regista, attrice e autrice. Quali pensa siano le caratteristiche che possiede di cui va più fiera?
Sono tutte sfumature racchiuse nella parola “interprete”. Sicuramente lo studio, la perseveranza, la costanza con cui – da quando avevo quindici anni – ho fatto tesoro di tutte le esperienze che mi hanno accompagnato, come lo studio dei grandi classici, il teatro tedesco di Schiller e Kleist, passando per Shakespeare. Adattare i loro prodotti, recitarli, correggerli e tradurli vuol dire mettere le mani in pasta dentro grandi testi e io non ho mai lasciato il teatro. È il primo anno che non lo faccio, perché in questo momento “Anna” è più importante. Di cosa sono fiera di me? Sono fiera di essere stata forte nel continuare a perseguire il mio desiderio di dare voce al nostro mondo, che è quello delle donne.

Presto la vedremo nuovamente in “Vita da Carlo”. Cosa ha rappresentato per lei questo progetto e cosa dobbiamo aspettarci dall’ultima stagione?
In “Vita da Carlo” vedremo la follia assoluta in questa stagione che chiude. La moglie di Carlo prenderà una decisione completamente sorprendente e, in qualche modo, si avrà un abbattimento della quarta parete. I personaggi escono dal loro ruolo per ritornare a essere gli attori che la interpretano. È una bellissima idea e può essere divertente e giusta. Sia “Speravo de morì prima” sia “Vita da Carlo” mi hanno preparato al romano. Per interpretare Anna Magnani non sono partita da zero, ho studiato per tre anni ma ho vestito prima i panni della madre di Totti e dopo della moglie di Verdone.
Un’altra serie in cui l’abbiamo vista e che ha avuto un grande successo è stata “Inganno”, di Pappi Corsicato. Cosa le ha permesso di esplorare il personaggio di Gabriella?
Rappresenta uno di quei personaggi su cui io lavoro tantissimo a teatro, da Madame Bovary a Carmen, e sono personaggi che il pubblico ama, complicati, molto sentimentali e sensuali. Mi ha permesso di restituire tutti questi aspetti in una piattaforma come Netflix e di conquistare il mondo dall’oriente all’occidente. Ciò è accaduto anche grazie alla mia carriera di teatro. Il pubblico ha visto un’attrice di un’età che è quella che corrisponde al personaggio; quindi, vera e c’è una paura di essere troppo grande rispetto a un’avventura che si manifesta davanti. C’è, inoltre, tutto il viaggio di trasformazione, c’è la forza dei paesaggi come la Costiera e della regia di Pappi Corsicato. È la serie italiana più seguita al mondo.
In cosa crede sia cambiato il cinema in quel periodo?
Nell’interpretazione. Anna Magnani, ad esempio, si è trovata proprio sul crinale dove il cinema è andato da un’altra parte e ha lasciato l’arte dell’interpretazione dietro di sé. “Roma città aperta”, che è diventato il film simbolo del neorealismo, cioè della nuova realtà, è stato travisato perché la nuova realtà è stata data da due grandi interpreti, che hanno interpretato quei personaggi, dalle musiche, dai tagli, dalle luci e dalla finzione che ha inventato una nuova realtà. Questo è stato fatto grazie al mestiere e ai professionisti. A quel punto hanno cominciato a scegliere facce prese dalla strada.
Ha conosciuto grandi maestri come Strehler, Missiroli e tanti altri. Cosa le ha lasciato il teatro?
È dentro di me. Lo pratico tutti i giorni, quando vado a teatro. Non è il passato. Ho fatto due anni fa “L’anima buona di Sezuan” di Bertolt Brecht, l’ho rimesso in scena, rimodernando lo spettacolo di Strehler. Il teatro è potentissimo, adesso tutti lo fanno e i giornalisti vanno a teatro e hanno capito la potenza della comunicazione con il pubblico. Io non l’ho mai lasciato.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa ascoltare la voce dello schermo?
Significa ascoltare la voce delle ombre. È l’ombra che ti parla, non il mondo reale che è quasi senza senso ormai. L’ombra ti racconta qualche cosa che è dentro di te, emerge dallo schermo ed è la vera vita.
Di Francesco Sciortino

