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Ven. Mag 9th, 2025

Intervista ad Anita Pomario: “Ne ‘L’amore che ho’ raccontiamo il coraggio, la forza e la ribellione di Rosa Balistreri” L’attrice, che vedremo dall’8 maggio ne “L’amore che ho” di Paolo Licata, si racconta su “La voce dello schermo.

Mag 6, 2025
Foto di Julia Morozova

Giovedì 8 maggio uscirà nelle sale “L’amore che ho”, film diretto da Paolo Licata e distribuito da Dea Film che racconta alcuni momenti significativi della vita di Rosa Balistreri. A interpretarla nelle varie fasi della vita ci sono Lucia Sardo, Donatella Finocchiaro e Anita Pomario.
Abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo”, proprio Anita Pomario, che ci ha presentato il film, ci ha parlato di alcuni aspetti che ha amato esplorare della fase giovanile della cantautrice siciliana e ha ricordato le altre significative esperienze della propria carriera: da serie tv come “L’arte della Gioia” a film come “Le sorelle Macaluso” e “Stranizza d’amuri”. Infine, l’attrice ha parlato di teatro e delle tappe lavorative che le hanno creato un bagaglio artistico importante per una recitazione internazionale e priva di confini. A voi…

Foto di Julia Morozova

Salve Anita, benvenuta su “La voce dello schermo”. Giovedì 8 maggio uscirà nelle sale “L’amore che ho”. Il film esplora le varie fasi della vita di Rosa Balistreri. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Salve a tutti, grazie. È stato un grande motivo d’orgoglio raccontare una figura importante come quella di Rosa Balistreri, che è stata sempre parte integrante della storia siciliana, non soltanto come donna ma anche per quello che ha rappresentato come figura pubblica. È stato il primo personaggio realmente esistito che mi è capitato di interpretare e ho avvertito una grande responsabilità nei confronti di questa figura, per quello che era e per la forza e il coraggio che ha sempre avuto. Non era un ruolo scontato, è stata una sfida impegnativa, ma studiarla e imparare a conoscerla mi ha insegnato tantissimo.

Quali aspetti hai amato raccontare della fase che ti ha riguardato?

Mi sono divertita molto a riprodurre lo stato d’animo di Rosa. La vedo come una tigre che, man mano che cresce, riesce a muoversi sempre meno ed è come se si trovasse all’interno di una gabbia che le sta troppo stretta. Mi ha affascinato tentare di farla muovere liberamente, lasciarla correre e dare sfogo al suo essere ribelle. Durante il periodo dell’adolescenza, era all’apice della sua essenza, in cui voleva cantare, esprimersi, amare a modo suo e lo faceva con un atteggiamento quasi felino e irruento. Mi ha colpito tantissimo poterle restituire questa libertà.

In cosa pensi sia attuale Rosa?

Credo sia attuale perché non è mai voluta scendere a compromessi e, pur di rimanere integra a quella che era la sua idea di libertà da donna e da artista, ha sofferto molto di più rispetto a quanto non lo avrebbe fatto se si fosse comportata in maniera diversa.

Come si rende attuale una donna del passato?

Con l’onestà, la sensibilità e con la voglia di voler dire “non è finita”, perché quello che succedeva ai suoi tempi accade anche adesso e fa ancora tanta rabbia. Avere l’onestà di non voler scendere a compromessi e di voler andare avanti è molto importante.

Il film racconta appunto lo spirito di ribellione di Rosa. In cosa credi di essere ribelle?

Nel non accontentarmi, nel provare a fare sempre le cose più difficili, nel non arrendermi con la consapevolezza di potercela fare e nel non farmi intimorire dall’idea di un ipotetico fallimento.

Come concili questo spirito di ribellione con la recitazione?

Lo utilizzo, facendolo diventare uno strumento e dando sempre un grande valore alle cose che faccio.

Riguardo, invece, Carmela ne “L’arte della gioia”, cosa ha rappresentato per te?

È stato importante conoscere e lavorare con Valeria (Golino ndr.), è un progetto molto bello, con una storia che amo tantissimo ed è stato interessante farne parte.

Ti dividi tra Milano, New York, Londra e Roma. Che ruolo hanno queste tappe per te?

Londra ha significato un’importante crescita personale e lavorativa, perché mi ha permesso di sviluppare la mia identità di artista, studiando molto e facendomi conoscere vari mondi del teatro. Mi ha aiutato a capire chi fossi io e come artista a teatro. Milano rappresenta una quotidianità e una normalità che ho cercato per tanto tempo e che riesce a darmi una routine che nel nostro mondo è difficile avere, ma che è fondamentale. New York è stato, invece, l’inizio del sogno e lo terrò sempre nel cuore. Infine, Roma la considero ancora come una persona che devo ancora conoscere, avendola vissuta poco.

E la Sicilia?

È qualcosa che mi rimane dentro, che mi porto dietro e che mi lascia sempre un velo di nostalgia nell’allontanarmi. Tuttavia, sono in una fase della mia carriera in cui vorrei stravolgere l’idea di attrice siciliana e mi piacerebbe sperimentarmi su nuovi personaggi totalmente diversi.

Ti piacerebbe cimentarti in ruoli con lingue o dialetti diversi?

Tantissimo, mi piace riprodurre le cadenze e accenti differenti. Inoltre, vorrei interpretare un personaggio che si esprima con il corpo e che sia molto lontano da me. Anche Rosa è stata una sfida molto bella perché ha comportato una trasformazione.

In che modo ti ha permesso di trasformarti?

Ho dovuto togliere le sopracciglia, aveva un modo di parlare differente, delle movenze per certi versi sgraziate, poco femminili e impacciate. È stato un modo per imparare di nuovo a camminare e a correre insieme a lei e a dare anima e corpo a una persona diversa rispetto a quella che sono io.

Hai conosciuto un teatro sperimentale e internazionale. Cosa offre un teatro senza confini?

Offre tante possibilità di rischiare, di aprirsi e di sorprendersi. Quando vado a vedere uno spettacolo mi piace provare la sensazione di aver visto qualcosa che mi ha colpito dentro e succede quando vengo colta di sorpresa. Il teatro sperimentale dei luoghi stimola la riflessione, ti colpisce e ti fa sentire pieno.

In cosa lo rende diverso rispetto a quello tradizionale?

Comporta un rischio maggiore, la diversità principale consiste nei mezzi che vengono usati, nella multidisciplinarità dei metodi di sperimentazione, dei modi di comunicare che possono essere quelli del suono, del movimento e dei silenzi.

Cosa significa salire su un palco per te?

È quel momento in cui sei padrona del tempo, sai che quei minuti su un palco ce li hai in mano tu e hai una grandissima responsabilità. Gli artisti devono prendersi la responsabilità di ciò che fanno, perché fare questo mestiere significa confrontarsi con il pubblico e con l’esterno e in quel momento lì deve esserci una presa di coscienza. Salire su un palco è come prendere in braccio chi guarda lo spettacolo e portarlo in un posto sicuro.

Esperienze come “Le sorelle Macaluso” e “Stranizza d’amuri” cosa ti hanno insegnato?

“Le sorelle Macaluso” ha rappresentato il mio primo film ed Emma (Dante ndr.) è sempre stata un mio punto di riferimento, anche teatrale, ed è stato il battesimo più bello che potessi sognare. Avrò sempre un ricordo prezioso di quel film, sia per il modo di lavorare sia per la storia. È stato un piccolo diamante. “Stranizza d’amuri” è stato il set in cui il rapporto con il cast è stato straordinario e mi ha portato a condividere tantissimi bei momenti con i miei compagni di avventura e con Beppe (Fiorello ndr.). L’amicizia che si è creata è stata molto importante e mi ha permesso di fare un viaggio incredibile.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Significa cercare di connettersi nel migliore dei modi a ciò che vuole suggerirci lo schermo.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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