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Ven. Mag 9th, 2025

Intervista a Eugenia Costantini: “Il debutto alla regia, ‘Boris’, il teatro di Carlo Cecchi e il mio amore per la recitazione nato in America” L’attrice si racconta su “La voce dello schermo” presentando il suo cortometraggio “Niente” e ripercorrendo le tappe fondamentali della propria carriera.

Mag 7, 2025
Foto di Michela Amadei

Abbiamo avuto il piacere di intervistare, su “La voce dello schermo”, Eugenia Costantini, che stiamo vedendo in queste settimane nelle nuove vesti di regista nel suo cortometraggio “Niente”. L’attrice si è raccontata parlando di cosa abbia rappresentato per lei passare dietro la macchina da presa, ha ricordato l’indimenticabile Cristina di “Boris” e le recenti esperienze in cui l’abbiamo vista, come “Speravo de morì prima” e “A casa tutti bene – La serie”, e ci ha regalato qualche anticipazione sui lavori in cui la vedremo prossimamente come “Stella Gemella” di Luca Lucini e “Alberi Erranti e Naufraghi” di Salvatore Mereu. Ma non è tutto, Eugenia ha raccontato, inoltre, i passi che sono stati determinanti per la sua carriera da attrice: dalla borsa di studio in America, che le ha permesso di acquisire la consapevolezza e la determinazione necessaria per far sì che la recitazione diventasse il suo lavoro; fino all’importantissima palestra che ha rappresentato per lei il teatro di Carlo Cecchi, che definisce l’esperienza più formativa della sua carriera. A voi…

Foto di Michela Amadei

Salve Eugenia, benvenuta su “La voce dello schermo”. Il cortometraggio “Niente” segna il tuo debutto alla regia. Quali aspetti ci tenevi a raccontare?

Salve a tutti, grazie. In “Niente” ho cercato di raccontare uno stato d’animo, che può essere presente nel momento di passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza, in cui possono farsi strada un senso di disagio, di inadeguatezza, una difficoltà ad accettare se stessi e auto definirsi e l’incapacità di esprimersi. Ho attinto da ricordi personali, rimescolando le carte e adeguando tutto alle esigenze del racconto. Sono molto sensibile a temi che riguardano il periodo infantile e quello adolescenziale e trovo che spesso da parte del mondo adulto ci sia la tendenza a dimenticare quello che in qualche modo abbiamo vissuto tutti.

Il film affronta temi come l’ansia, il periodo difficile dovuto al passaggio dall’infanzia all’adolescenza, l’importanza di crescere all’interno di un ambiente familiare sano. Come si riesce a trattare in maniera efficace tematiche così delicate in così poco tempo a disposizione come all’interno di un corto?

Ho cercato di trattare l’argomento con delicatezza e di non calcare la mano, non volevo cedere a un’interpretazione manicheista di una fase della vita tanto complessa e sfaccettata come l’adolescenza. La protagonista convive, infatti, quasi inconsapevolmente con questo respiro che non va giù e, come spesso accade quando si è così giovani, non c’è giudizio da parte sua rispetto a quello che sta vivendo, ma solo istinto di sopravvivenza. In un corto il tempo è poco e ho cercato di condensare in poche scene questo quasi “niente”, che per un adolescente può invece significare moltissimo.

Com’è stato metterti alla prova dietro la macchina da presa?

È stata un’esperienza intensa e molto formativa. Per quanto riguarda il lavoro con gli attori, con i quali mi trovo a mio agio e che mi dà molta soddisfazione, ho fatto tante prove, cercando di tirare fuori da loro quanto ci fosse di più autentico. Tendo a essere perfezionista, sia nella vita di tutti i giorni sia nel mio lavoro, e ho cercato di non lasciare nessun dettaglio al caso. Ero piuttosto sicura di me riguardo la direzione degli attori, un po’ meno dal punto di vista tecnico e registico ma ero circondata da grandi professionisti. È stato un lavoro di squadra meraviglioso.

Come vorresti proseguire il tuo rapporto con la regia?

Voglio assolutamente continuare. Sto scrivendo e vedremo cosa succede. Dal punto di vista produttivo fare un film non è facile, però ora che ho fatto il primo passo mi butterei a capofitto su un nuovo progetto da regista anche domani.

Tra i progetti in cui ti vedremo prossimamente ci sono “Stella Gemella” di Luca Lucini e “Alberi Erranti e Naufraghi” di Salvatore Mereu. Cosa puoi anticiparci a riguardo?

Si tratta di due progetti molto diversi tra loro come genere, storia, approccio registico etc. “Alberi erranti e naufraghi” è tratto da un romanzo, Mereu è un regista direi quasi visionario, istintivo e maniacale allo stesso tempo. Lavorare con lui è stato contemporaneamente difficile e stimolante; una particolarità del suo modo di lavorare è anche quella di coinvolgere molto gli attori, spingendoli a una certa consapevolezza, almeno questo è quello che è accaduto a me. Ci chiedeva, ad esempio, di guardare le scene al monitor, di confrontarci tra un ciak e l’altro. È stata una lavorazione singolare, a modo suo molto istruttiva. “Stella Gemella” è invece una commedia, un film brillante, costruito attorno a situazioni paradossali e molto divertenti, sorretta da attori bravissimi e da un regista deciso e allo stesso tempo disponibile, capace di creare sul set un clima molto amichevole. È stato per me un grande piacere e sono sempre felice di poter fare commedia.

Di recente ti abbiamo vista in serie Sky come “A casa tutti bene – La serie” e “Speravo De morì prima”. Che esperienze sono state per te?

In “Speravo de morì prima” mi sono divertita a entrare nel mondo “tottiano”, a vestire i panni di quella tipologia di mamma romana verace come ne ho viste e conosciute tante. Io non capisco nulla di calcio e non ho mai guardato una partita per più di cinque minuti, ma sono da sempre circondata da romanisti sfegatati; quindi, Totti per me era già come uno di famiglia.
“A casa tutti bene – la serie”, invece, soprattutto la seconda stagione, è stata una vera prova, un lavoro in cui ho dovuto mettermi completamente in gioco emotivamente, una sfida assolutamente appassionante. Gabriele Muccino chiede ai suoi attori di dare tutto e di non risparmiarsi, del resto lui fa altrettanto come regista, un lavoro adrenalinico, un’incursione profonda nelle gioie, nei dolori e nelle contraddizioni di un personaggio tridimensionale, per quanto mi riguarda un modo di lavorare tra i più gratificanti possibili.

Un’attrice durante le sue interpretazioni deve mettersi alla prova. Qual è, secondo te, il ruolo che ti ha permesso di sfidare maggiormente te stessa?

Probabilmente quello di Viola nella rappresentazione teatrale de “La dodicesima notte” con Carlo Cecchi; il palcoscenico è una prova assoluta, ancora di più forse per un’attrice come me che ha avuto una formazione più cinematografica. Non mi basterebbe un giorno intero per raccontare quello che ho vissuto e imparato con Carlo in due anni di tournée, ci sono stati momenti difficilissimi e altri che ricorderò per sempre come i più belli ed emozionanti della mia carriera, ma quello che è sicuro è che gli sarò grata per sempre perché è la persona da cui ho imparato di più e perché è stata un’esperienza che mi ha profondamente trasformata.
Ancora sogno di andare in scena con quello spettacolo, qualche settimana fa ho fatto un incubo a riguardo: eravamo sul palco e dopo la prima battuta non ricordavo più nulla e andavo nel panico! (ride ndr.)

Quali opportunità ti offre il teatro?

In teatro c’è innanzitutto il rapporto diretto con il pubblico, con cui la comunicazione avviene in tempo reale, e questo ovviamente cambia molto il tipo di esperienza. Non si può in alcun modo sfuggire a questo confronto, c’è uno scambio continuo, anche spietato se vogliamo, in scena l’attenzione e il riscontro del pubblico sono palpabili. Devi essere in ascolto, aggiustare il tiro e recuperare se qualcosa non va, improvvisare se hai un buco di memoria o se avviene qualche imprevisto, non farti sopraffare dalle emozioni, avere il controllo e allo stesso vivere l’attimo.
Inoltre, un attore in teatro deve sapersi muovere, avere grazia nei movimenti, saper usare la voce e le parole come un vero artigiano del proprio corpo e dei propri strumenti, molto più che al cinema. Ritengo che sia un’esperienza e una scuola irrinunciabile.

Ascoltandoti si percepisce una grande spontaneità e autenticità nelle risposte. Nella recitazione come si nasconde la parte autentica di noi stessi per lasciare spazio al personaggio?

Non sono particolarmente brava a celare i miei pensieri e le mie emozioni e, in effetti, tendo a dire quello che penso, anche in contesti e situazioni in cui non è la scelta più diplomatica da fare. Non so se ti riferisci a questo. Comunque, è una cosa sui cui ho cercato di lavorare nel tempo, perché un po’ più di abilità nel controllare quello che si dice e si esprime socialmente non guasta. Detto questo, credo che in assoluto l’autenticità sia qualcosa di prezioso da preservare, e che non ci sia niente di più bello che percepire qualcosa di autentico nell’interpretazione di un attore o di un’attrice, e in generale in qualunque forma ed espressione artistica, credo che sia la conditio sine qua non per emozionare.

Un’attrice deve fingere?

Non credo, penso piuttosto che debba trasformare in arte qualcosa di vero, direi che la finzione è la forma e la verità è la sostanza. Questo non vuol dire che sia sufficiente essere veri o apparire realistici per recitare e soprattutto per farne una professione, tutt’altro; studiare, fare esperienze e affinare i propri strumenti è fondamentale.

Foto di Michela Amadei

Riguardo “Boris” invece, cosa rappresenta Cristina per te?

Sono legata da un profondo rapporto affettivo a questo progetto e alle persone che ne hanno fatto parte. Cristina per me è come una cugina o una vecchia amica che ogni tanto incontro e che mi aggiorna su cosa fa adesso, come è accaduto in “Boris 4”.

Si parla sempre di una nuova stagione di “Boris”. In questo momento è possibile?

Non ne ho la più pallida idea, anche perché attualmente i registi sono impegnati su altro. Da quello che sento c’è sempre l’idea di proseguire, ma non entro nel merito perché non dipende da me e si tratta di questioni produttive e organizzative.

Ti piacerebbe interpretare nuovamente Cristina?

Certo che sì!

Nella tua carriera, secondo te, essere figlia d’arte è stato più un vantaggio o un peso?

È difficile valutarlo e dipende sotto quali punti di vista. Sono nata e cresciuta in una famiglia di artisti, per me era molto naturale da bambina recitare o mettere in scena storie e situazioni, quando avevo dodici anni ho anche girato una specie di film nel giardino di casa mia con tutta la mia classe. Crescendo la mia percezione di questo mestiere e delle sue implicazioni è cambiata tante volte, ho avuto fasi di passione e altre di rigetto. Sicuramente essere cresciuta in questo contesto mi ha aiutata ad entrare in contatto con l’ambiente e con chi ne fa parte, per altri versi mi ha fatta sentire a volte meno libera.

Quando è arrivata la consapevolezza di voler recitare?

Penso di aver sempre voluto recitare, ma una svolta per me importante è arrivata quando mi trovavo a New York, dove avevo vinto una borsa di studio in una scuola di recitazione. Essere lì come “Iuginia”, una ragazza di cui nessuno sapeva niente, mi ha fatta sentire libera dal giudizio degli altri e di me stessa e mi ha consentito di capire quello che desideravo veramente. È stata anche una scuola per me fondamentale, infatti ci sono tornata molte volte ed è un percorso di studio che continua tutt’ora.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Non saprei… Mi rimanda ai capolavori del cinema grazie ai quali mi sono formata, e che hanno contribuito a farmi diventare quella che sono adesso.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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