Eleonora De Luca è una delle grandi protagoniste dell’ultimo periodo televisivo. È riuscita, infatti, a regalarci due interpretazioni profondamente differenti ma che dimostrano la sua incredibile versatilità. La prima è quella nei panni di Argentovivo ne “L’arte della gioia”, diretta da Valeria Golino; la seconda è quella di Antonietta Toni Macallè nella serie “Costanza” di Fabrizio Costa e con Miriam Dalmazio.
Abbiamo intervistato Eleonora su “La voce dello schermo”, che ci ha parlato di cosa abbia significato per lei essere diretta da Valeria Golino ne “L’Arte della gioia” e ci ha confidato quanto il romanzo di Goliarda Sapienza abbia per lei un significato particolare. L’attrice ha, inoltre, parlato della bella sfida che ha rappresentato interpretare Toni Macallè in “Costanza”, ruolo che vorrebbe continuare a esplorare in un’ipotetica seconda stagione della serie. Eleonora ha, infine, ricordato esperienze come “Le sorelle Macaluso” di Emma Dante e il suo esordio da protagonista ne “L’Ora legale” con Ficarra e Picone e ci ha regalato altre interessanti curiosità che la riguardano. A voi…

Salve Eleonora, benvenuta su “La voce dello schermo”. Di recente ti abbiamo vista in “Costanza”. Puoi farci un bilancio di questa esperienza?
Salve a tutti, grazie. Sono molto contenta di come sia andata questa avventura. Avevamo già la sensazione che sarebbe stato un ottimo prodotto durante le riprese ed eravamo molto felici del lavoro svolto. Abbiamo avuto un grande riscontro da parte del pubblico, sono molto soddisfatta e felice. Sento che abbiamo affrontato bene questa sfida. Sono ancora sulla scia del sorriso che mi ha lasciato la messa in onda.
Quali corde ti ha permesso di toccare Toni?
È sicuramente un personaggio interessante perché è una psicologa e psicoterapeuta, fa quindi un lavoro molto specifico. Inoltre, è il mentore della serie e possiede una certa saggezza e profondità. Ho fatto il liceo psicopedagogico e la mia strada avrebbe potuto prendere una direzione simile a quella di Toni, ma ho scelto di fare l’attrice e non mi sono dedicata a quel mondo. Infine, recitare con Miriam Dalmazio, che è bravissima e con cui ho creato un bellissimo legame di sorellanza, ha rappresentato una bella opportunità che mi ha dato questa serie. È stata una bella scoperta per me.
Ti piacerebbe dare una continuità al tuo personaggio in un’ipotetica seconda stagione?
Sicuramente mi farebbe molto piacere. Abbiamo lasciato tanti punti di sospensione sul finale di questa stagione e vorremmo capire meglio ciò che accadrà. Abbiamo fame di futuro per quello che riguarda questa storia.
Ne “L’arte della gioia” hai interpretato Argentovivo. Perché è stato un set importante per te?
Mi ha permesso di lavorare con Valeria Golino che è un’attrice, una regista e un’artista straordinaria. È in grado di partorire delle immagini uniche in maniera improvvisa e immediata: è una donna che crea dal nulla. Inoltre, ho amato tantissimo il romanzo da cui è tratta la serie e l’ho letto in un mese e mezzo. Durante la lettura, sentivo che mi stava cambiando e stava lavorando dentro di me. Essere diretta da Valeria in quello che probabilmente è il mio romanzo preferito in assoluto è stata un’occasione bellissima.
Com’è stato recitare in un’epoca diversa?
Fare dei viaggi nel tempo è un’occasione imperdibile per noi attori. Argentovivo era un ruolo divertente, simpatico, diverso e non da poco. Ho avuto l’occasione di riscoprire palazzi d’epoca meravigliosi e di trovare la mia Sicilia sempre nuova, interessante e piena di mondi che non conosco. Lavoro sempre tantissimo e cerco di dare sempre il massimo in ogni set, ma alla fine dell’esperienza mi sento nutrita. “L’arte della gioia” è stato un set molto appagante e gratificante da questo punto di vista.
Per un attore, esiste una differenza tra prodotti d’autore e altri più mainstream?
Sì e no. Puoi rivolgerti a destinatari differenti, ma credo sia una fortuna poter parlare a diversi tipi di pubblico. Tuttavia, dentro di me c’è anche una parte pop che guarda i teen drama o qualche soap e un’altra che ama il cinema d’autore. Credo che nella stessa persona ci sia una parte più autoriale e una più popolare. Avere la possibilità di unire vari tipi di linguaggi, essere un interprete e passare tra vari tipi di pubblico penso sia un’occasione che dovrebbe vivere ogni artista. Mi sento felice perché è importante non essere rinchiusi dentro un solo ambito ma è bello parlare – in qualità di artisti – in più modi e a più persone, che sono allo stesso tempo fuori di noi ma anche dentro.
Come si riesce a spaziare tra prodotti così diversi tra loro?
Abbandonando le resistenze, perché spesso noi attori possiamo essere giudicati, positivamente o negativamente, perché facciamo un tipo di prodotto o perché ne giriamo un altro. Ma credo sia importante raccontare belle storie. I codici di linguaggio, anche all’interno dello stesso tipo o genere di racconto, sono sempre diversi. Dentro di loro ci sono tanti sistemi solari che hanno ognuno le proprie differenze e le proprie funzioni.
“Le sorelle Macaluso” è stata un’altra tappa importante per la tua carriera. Cosa ricordi di questo set?
Ricordo il senso di familiarità che si è creato con Emma Dante e con gli altri personaggi che interpretavano le sorelle. È un film che parla di tempo e di legami affettivi ed è una coincidenza interessante che sia uscito nel 2020, anno del Covid, perché è stato un periodo che ci ha fatto ragionare proprio su queste due tematiche. Girammo a Palermo anche questo progetto e una scena al Charleston, proprio dove andavo al mare da bambina, e mi ha permesso di tornare con la mente alla mia infanzia. È stato bello lavorare con attrici molto brave ed Emma Dante è una generatrice di ritmi, ha creato una macchina in cui tutti gli ingranaggi funzionavano per farla viaggiare. È stato come un parto collettivo di molte donne e in cui abbiamo dato vita a questo film.
Com’è cambiata Eleonora nel tempo?
È cambiata tantissimo. Cambio costantemente. Noi attori abbiamo questa grande fortuna di poter interpretare tanti archetipi presenti dentro di noi e di poterli esprimere. Mi sento più serena rispetto a prima, più vado avanti nel tempo più mi sento tranquilla perché riesco a lasciare andare tante cose. Quando abbiamo paura tendiamo a trattenere tutto ma, crescendo, impariamo anche ad allontanare questa voglia di controllare. Lasciare una parte di me e aprirmi al cambiamento mi ha fatto crescere tanto.
Una delle tue prime esperienze è stata ne “L’ora Legale” con Ficarra e Picone. Cosa ti hanno insegnato?
A essere contenta su un set! (ride ndr) Ero felicissima quando fui scelta per quel film. Dicevo sempre: “non è possibile!”. È stato il primo grande ruolo da protagonista e lavorare così bene su un set, girare anche tante scene di massa – in cui il protagonista era un intero paese – e parlare davanti a un grande pubblico, è stata un’avventura molto bella e formativa. Ficarra e Picone sono due artisti che ammiro tanto e a cui sono molto grata, perché non soltanto mi hanno dato una possibilità aprendosi al nuovo – dal momento che a quei tempi ero un’attrice emergente – ma si sono presi cura di me e mi hanno battezzata al cinema.
In quel film hai avuto anche modo di cantare…
Sì, mi piace molto cantare e mi aiuta tanto. Anche quella è stata un’altra ‘prima volta’: non avevo mai inciso nulla, andai in studio con i Tinturia – dopo che avevano riarrangiato ‘Democrazia’ di Arisa – e ho inciso quella canzone che ogni tanto canticchio ancora sotto la doccia! (ride ndr)
Tramite il workshop di recitazione “Svelarsi”, tu e Simona Taormina insegnate diversi aspetti della recitazione. In che modo?
Durante il mio percorso artistico, ho frequentato una scuola di recitazione e credo che ci siano sì i talenti, ma che quest’arte debba essere insegnata da qualcuno che la sappia già fare. Bisogna essere pronti tecnicamente a sostenere quello che accade. La recitazione è un artificio attraverso cui senti la verità ma, per arrivare a questa e per poterla comunicare agli altri, è necessario affrontare un percorso di studio e mi batterò sempre per questo.
Hai fatto parte di tanti progetti in cui hai mostrato la tua sicilianità. Il lavoro di attrice ti porta da una parte ad allontanarti dalle tue origini e dall’altra a riavvicinarti. Come ti confronti con questo togliere e mettere il tuo essere siciliana?
Più che un togliere e mettere credo sia un attraversamento. Continuo a fare anche molto teatro e ho da poco finito lo spettacolo prodotto dal Teatro di Roma e in esperienze del genere si richiede di lavorare sulla dizione. Ne “L’invenzione della neve”, di Vittorio Moroni, ad esempio ho recitato senza il mio accento palermitano, che uso poco mentre parlo. La mia provenienza geografica per me è più come una spezia che un ingrediente fondamentale. Mi sento estremamente siciliana, esserlo è uno strumento che utilizzo quando serve e anche quando non devo interpretare un personaggio siciliano, perché è uno stato che porto con me.
Sappiamo che tra i tuoi obiettivi c’è anche la regia…
Sì, mi piacerebbe molto fare questo passo, mi affascina l’idea di raccontare e comunicare senza dover necessariamente apparire. Lo faccio già attraverso la scrittura e lo adoro, ma vorrei parlare attraverso le immagini senza dover necessariamente dire qualcosa con la mia bocca o attraverso il mio sguardo. Mi metterei a studiare anche in quel caso.
Se fossi una giornalista che domanda faresti a Eleonora?
Le chiederei come si sente rispetto al futuro. Risponderei che sono molto speranzosa di trovare nuove avventure, come successo finora, e di continuare a combattere le mie sfide e vincerle.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa avvalersi dei due sensi principali che si utilizzano al cinema: l’udito e la vista. Anche uno schermo può parlare e ci spinge a chiederci cosa abbia da dire.
Di Francesco Sciortino