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Intervista a Ester Pantano: “Interpretando Francesca Morvillo in ‘Francesca e Giovanni’ ho imparato cosa sia davvero l’amore” L’attrice presenta su "La voce dello schermo" 'Francesca e Giovanni', il film diretto da Simona Izzo e Ricky Tognazzi in cui è protagonista assieme a Primo Reggiani.

Mag 12, 2025
Foto di Alessandro Pensini

Dal 15 maggio uscirà nelle sale “Francesca e Giovanni”, film diretto da Simona Izzo e Ricky Tognazzi, distribuito da Adler Entertainment e che ricorda, con uno sguardo inedito, due simboli della lotta alla mafia come Francesca Morvillo e Giovanni Falcone, rispettivamente interpretati da Ester Pantano e da Primo Reggiani.
Con enorme piacere, abbiamo ritrovato su “La voce dello schermoEster Pantano, che nel film interpreta proprio la magistrata uccisa dalla mafia in seguito alla strage di Capaci. L’attrice ha raccontato cosa abbia rappresentato per lei vestire i panni di una figura importante come quella di Francesca Morvillo e ricordare i suoi ideali, il suo coraggio, la sua determinazione e il suo sacrificio, ribadendo quanto storie come la sua possano essere sempre importanti per le generazioni future. Ester ha trovato, inoltre, alcuni parallelismi tra Francesca e Giuseppina Saffiotti, che ha interpretato ne “I Leoni Di Sicilia“, la miniserie diretta da Paolo Genovese, e ha parlato delle altre esperienze recenti che la riguardano: da “E Poi si vede”, in cui l’abbiamo vista al cinema con I Sansoni, a “Io + te“, il nuovo film in cui la vedremo prossimamente con Matteo Paolillo. Questo e altro nella nostra intervista a Ester Pantano, una chiacchierata che ci mostra quanto l’attrice siciliana sia un esempio di determinazione, impegno, voglia di conoscenza e di sapere e di un’arte che vuole lasciare il segno. A voi…

Salve Ester, bentornata su “La voce dello schermo”. Giovedì 15 maggio esce nelle sale “Francesca e Giovanni”, in cui interpreti Francesca Morvillo. Perché è stato importante per te raccontare la sua storia?

Salve a tutti, bentrovati. Interpretare Francesca è stato importante perché la sua è una voce poco raccontata e perché il suo impegno è stato identico a quello di Falcone. Si sono conosciuti e trovati prima di tutto come colleghi, perché era una magistrata. Fa parte di una nuova era di donne che intervengono e che danno il loro contributo all’ambiente giuridico. Era una rivoluzionaria che ha sofferto perché, in quel periodo, non era ancora ritenuta credibile. Le donne, a quei tempi, negli ambienti giuridici, venivano guardate un po’ con sospetto.

Che segnale possono dare storie come la sua?

È necessario raccontare figure del genere per far sì che si normalizzi la presenza delle donne in tutti gli ambienti e che non si guardi con stupore una donna magistrata. È fondamentale permettere alle nuove generazioni e alle bambine che guarderanno il film di desiderare di fare questo mestiere. Spero sia l’occasione per apportare un cambiamento.

Quali aspetti hai amato esplorare di lei?

Sicuramente la sua forza, la non paura che ha avuto e soprattutto il suo accettare di affrontare il proprio destino, con quelli che erano i suoi obiettivi e, in questi, scoprire che era possibile trovare una nuova strada. Non ha mai avuto dubbi. Per lei era giusto mettersi in mezzo alla periferia di Palermo, lavorare per la Kalsa e diventare sostituta procuratrice al carcere Malaspina, che comportava avere a che fare con i figli della mafia e di chi faceva parte di quell’ambiente.

Qual era la particolarità che rendeva il pensiero di Francesca diverso rispetto a quello di Falcone e Borsellino?

Francesca aveva capito quale fosse la chiave per risolvere i problemi della mafia e che bisognava sradicarla dalle giovanissime generazioni. Come diceva anche Bufalino: “Per combattere e avere un cambio di questa società bisogna avere a disposizione un buon esercito di maestre elementari”. Ovviamente, è giusto occuparsi di frutti già troppo contaminati per poter essere risanati, come facevano Falcone e Borsellino, ma serve anche cambiare le cose dall’inizio e offrire ai ragazzi una possibilità e una visione maggiore per poter cambiare.

Che responsabilità porta con sé un personaggio del genere?

Porta con sé la responsabilità di narrare che tutto è possibile nel momento in cui viene data l’opportunità di farlo. Il padre di Francesca, Guido, anch’esso magistrato, ha spinto perché sua figlia avesse il diritto di seguire questa strada. Lei apparteneva a un contesto familiare totalmente diverso dalla periferia di Palermo e il suo altruismo e il suo impegno nei confronti della società è ammirevole proprio perché non era un ambiente che la riguardava direttamente. Invece, essendo una grande magistrata e donna di legge, comprese dove fosse il marcio della società. C’è un dialogo nel film in cui Falcone la prende in giro dicendole: “Sei borghese, che ci fai qui alla Kalsa?” e lei rispose: “Ho scelto di venire perché penso che bisogna fare il lavoro proprio qui”. Falcone e Borsellino, invece, provenivano più da quei quartieri e conoscevano meglio quella dimensione.

Com’è andato il lavoro con i due registi, Simona Izzo e Ricky Tognazzi, e con il resto della squadra?

Il lavoro è andato molto bene, è stata una squadra affiatata e non abbiamo mai considerato la sceneggiatura in maniera definitiva perché, oltre a esserci resi conto che Palermo è una città super-viva e che si trasforma, abbiamo capito che avevamo sempre spunti nuovi per migliorare il lavoro che stavamo realizzando. C’era una voglia continua da parte di tutti di trovare una quadra e di rendere giustizia alla storia e c’è stata una bellissima collaborazione. È stato molto bello lavorare con Primo (Reggiani ndr.) ed è stato semplice trovare una giusta sintonia per rendere questo rapporto e questo essere squadra. Mi immaginavo Francesca e Giovanni che rientravano a casa e che ‘giocavano’ con il serissimo gioco del combattere la mafia, confrontandosi e dialogando. Pare che nelle carte di Falcone, in molte inchieste che ha svolto, ci sia accanto alla sua una seconda grafia: quella di Francesca. Questo fa comprendere quanto cooperassero, facendo sì che il loro rapporto fosse di amorosi e giuridici sensi.

 

In passato, hai definito Giuseppina de “I Leoni di Sicilia” il ruolo più completo che hai interpretato. Francesca, invece, cosa ha rappresentato?

È anche lei un ruolo complesso e grazie a Francesca ho imparato cosa è l’amore. È un’eroina, perché sapeva che il sentimento che provava avrebbe comportato un rischio di vita e un sacrificio e, nonostante ciò, ha persistito nel portarlo avanti. Malgrado periodi e situazioni differenti, Francesca e Giuseppina sono molto accomunate perché anche Giuseppina sa cos’è l’amore e qual è la sua catena. Inoltre, anche Francesca viene giudicata dalla famiglia, che cerca di creare un’ostruzione rispetto all’unione con Falcone, venendo entrambi da un matrimonio alle spalle. Francesca nel suo sacrificio si è dovuta auto-imprigionare e, nel momento in cui entra in gioco la scorta a proteggere la coppia, perdono la loro intimità, ma nel grande amore decidono che quel poco di contatto che possono avere ne vale la pena. Fanno della loro prigione il loro paradiso e diventano un’unica cosa.

Nell’interpretare Francesca si nota anche un lavoro sulla cadenza palermitana…

Sì, ho cercato di ricreare anche una provenienza diversa rispetto alla mia perché ci troviamo a Palermo e non sono palermitana. Ho lavorato molto per immergermi completamente nella parte di Francesca per rispetto alle sue origini. Ogni luogo ha la propria musica e mi sono avvicinata alla cadenza palermitana, nonostante lei fosse una magistrata e non utilizzasse eccessivamente il dialetto.

Come trovi la Sicilia di oggi?

Ultimamente la sto trovando un po’ più arrendevole. Vedo le persone più orientate verso ciò che è utile piuttosto che preoccuparsi di ciò che è importante, nonostante ci siano giovani che danno valore a degli ideali e che non si fermano soltanto all’utilità di qualcosa. Inoltre, credo che manchi un po’ il senso della collettività, vorrei che fosse più presente e che ci sentissimo più responsabili verso l’ambiente, verso le persone e verso il clima che possiamo respirare. Mi fa rabbia vedere come i siciliani stessi non si curino della propria terra, lasciando rifiuti in spiaggia o facendo altri gesti del genere. Sono molto orgogliosa quando una persona viene a visitare la Sicilia e desidero che abbia un’esperienza positiva. Dobbiamo averne una cura maggiore, trattarla come casa nostra e occorre comprendere quanto sia fondamentale l’energia che portiamo in giro nel mondo e quanto ognuno di noi rappresenti il luogo di provenienza.

Tu hai mostrato la tua bravura da attrice sia in personaggi siciliani e non. Come si fa a non rendere la provenienza un limite, ma un punto di forza?

Nel momento in cui non cerchiamo né di evidenziarla né di nasconderla. Allontanarsi dalle proprie origini per essere neutri non sarà mai un valore. Abbiamo un’identità fatta di suoni, gesti e tradizioni. Cresciamo vedendo esseri umani che si muovono, reagiscono e hanno delle emozioni. Sviluppiamo le nostre ma, ovviamente, siamo contaminati da quello che ci ha accompagnati durante la nostra crescita. Credo sia impossibile allontanarsi e ritengo che stare dentro la propria cultura debba essere considerata una grande ricchezza, perché dà carattere. Per fare tutte le trasformazioni e togliere il dialetto ci sarà sempre tempo, ma togliere l’identità non potrà mai portare qualcosa di produttivo.

Ti sentiresti, invece, di confidarci un tuo punto debole?

Il mio punto debole è sicuramente la iper-meticolosità. Avendo una visione totale, non riesco a guardare soltanto il mio lavoro sul set, ma considero sempre anche quello degli altri. Amo fare lavoro di squadra, sono molto attenta quando giriamo e vorrei che tutti dessero il meglio, me compresa. Se c’è qualcosa che non va o se vedo che qualcuno non stia facendo del suo meglio, la cosa potrebbe distrarmi o infastidirmi. Credo che la realizzazione di un film o di una serie tv sia una macchina meravigliosa e dobbiamo impegnarci tutti per rendere il prodotto al massimo.

Sei una persona molto curiosa riguardo la tua terra e ciò che ti circonda. Da cosa nasce la tua voglia di scoprire?

Coltiviamo moltitudini. La Sicilia è stata dominata da tantissime culture, basta fare una passeggiata a Palermo, ai Quattro Canti, per rendercene conto, dal momento che sono un esempio di regalo dell’architettura spagnola. Camminiamo in una terra che contiene il mondo, abbiamo contaminazioni arabe, normanne e raccogliamo visivamente diversità incredibili. La mia curiosità è inconscia, non riesco a oppormi al fatto che dentro di me ci siano così tante cose che non riesco a giudicare e mi dispiace che i siciliani non vedano queste mescolanze di culture o che facciano lotte interne. La ricchezza della Sicilia deriva dal fatto che siamo stati un porto, al centro del Mediterraneo, e che abbiamo vissuto diverse dominazioni, ricevendo regali architettonici incredibili provenienti da altre culture. La nostra cucina è impressionante, c’è di tutto, così come nell’architettura, e derivano da contaminazioni. Dobbiamo riconoscere quello c’è stato prima di noi. Chi è razzista o chi non vede queste cose, lo fa per ignoranza perché non si rende conto che la nostra ricchezza, il nostro patrimonio e ciò che rende unica la Sicilia agli occhi di chi viene da fuori deriva da questo. Il popolo siciliano è un popolo incredibile, che ha saputo comunicare con tutti e che non si è opposto alla contaminazione, abbracciandola e facendone la sua ricchezza.

Di recente ti abbiamo vista anche in “E poi si vede”, il film diretto da Giovanni Calvaruso con I Sansoni. Che esperienza è stata per te?

È stata un’esperienza molto interessante. Federico (Sansone ndr) e Fabrizio (Sansone ndr.) sono due persone splendide, che ho conosciuto meglio grazie a questo film. È stato bello poter raccontare una Sicilia con quegli eroi che tutti i giorni si spendono per non essere raccomandati e che vogliono la verità. Il mio personaggio è la chiave in questa direzione, perché invita all’onestà, se c’è un sacrificio da fare lo fa e possiede una forza simile a quella che possiedo io, dal momento che non mi piego, non cerco raccomandazioni, sono sempre stata meritevole di ciò che è accaduto nella mia vita e ho sempre gareggiato per ottenere i miei risultati.

Cosa ti ha lasciato di importante?

È stato importante ricordare che la Sicilia non è soltanto quella raccontata dai luoghi comuni ed è stato bello esplorare le due facce di questa terra. Oltre a una fetta di persone che ottiene dei favori, c’è anche e soprattutto una buonissima parte di persone meravigliose che si batte per avere ciò che merita. È chiaro che se un ragazzino vede che c’è una persona che, ingannando, ottiene di più, guadagna di più e fa una vita migliore, avrà una grande tentazione a essere orientato verso quella direzione e per resistere è necessario possedere una grande morale e una grande famiglia che dia dei valori per non intraprendere la strada più facile.

Tra le altre esperienze in cui ti vedremo c’è il film “Io + te”, con Matteo Paolillo. Cosa puoi anticiparci?

Si parlerà di infertilità maschile, di una donna che decide per sé e per la sua vita e che non si fa condizionare dai luoghi comuni e dalle tempistiche che vengono imposte dalla società. Inoltre, si assisterà a una relazione con una differenza d’età, in cui la donna è più grande e non ha come primo obiettivo fare una famiglia.

Infine, riguardo la nuova Suleima che vedremo prossimamente in “Makari”?

È una sorpresa! Aspettiamo…

Artisticamente, chi è Ester?

È una donna completa, che ama mettersi in discussione, sperimentare e con il desiderio di migliorarsi sempre. Amo il dialogo e il confronto, per costruire, ma anche per mettermi alla prova. Voglio sempre sfide nuove. Sono molto sportiva in questo: una volta raggiunto l’obiettivo, voglio sempre mettermi nella condizione di chiedermi: ‘Ce la farò?’. E poi, com’è accaduto con Francesca, ho sempre la necessità di studiare e di approfondire. Sto scrivendo tanto, dopo aver realizzato uno spettacolo sulle donne che hanno cambiato il mondo grazie all’arte e al loro impegno sociale, ne sto scrivendo un altro che parla di scrittrici. Ho bisogno di esplorare, di capire e di ringraziare chi c’è stato prima di me perché grazie al suo contributo ho potuto fare quello che sto facendo adesso. So che Francesca Morvillo è una delle persone che ha permesso che ci fosse un cambio di direzione grande nella nostra società. Sento la necessità di scavare sempre nelle radici, di trovare informazioni nuove e di dare il mio contributo anche a livello sociale e non soltanto artistico. Mi piacerebbe poter essere una persona per cui qualcuno, dopo aver visto uno spettacolo o dopo aver letto qualcosa che ho scritto, abbia voglia di impegnarsi e di essere attivo in questa società.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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