Francesca Valtorta sta vivendo un periodo entusiasmante sia al cinema sia a teatro. L’attrice è, infatti, in “30 notti con il mio ex”, film attualmente nelle sale diretto da Guido Chiesa. Oltre a trovarla al cinema al fianco di Edoardo Leo e Micaela Ramazzotti, Francesca ha da poco terminato la tournée teatrale di “Uno, nessuno e centomila”, che le ha dato grandi soddisfazioni e che riprenderà prossimamente. Abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo”, proprio Francesca, che ci ha parlato della recente esperienza in “30 notti con il mio ex” e dell’importante messaggio che il nuovo film di Guido Chiesa riesce a mandare, nonostante affronti l’argomento attraverso la leggerezza tipica della commedia. Oltre a raccontarci cosa abbia significato per lei par parte di questo set, l’attrice ha parlato di altri aspetti che riguardano la sua carriera da attrice, ricordando l’indimenticabile ruolo di Rachele Ragno in “Squadra Antimafia”, gli esordi in film come “Immaturi – Il viaggio” di Paolo Genovese o “Baciami ancora” di Gabriele Muccino e le più recenti esperienze in commedie come “Flaminia” di Michela Giraud e “Come può uno scoglio” di Gennaro Nunziante con Pio e Amedeo. Ma non è tutto, Francesca ci ha, infine, confidato il suo rapporto con il palcoscenico e con il teatro e altri interessanti aspetti che la riguardano e che accomunano la sua essenza da attrice a un buon Riesling della Mosella. A voi…

Salve Francesca, benvenuta su “La voce dello schermo”. Da giovedì 17 aprile ti stiamo vedendo nel film “30 notti con il mio ex”, diretto da Guido Chiesa. Che esperienza è stata per te?
Salve a tutti, grazie. È stata una bellissima esperienza far parte di un film con un cast così interessante, da Anna Bonaiuto a Edoardo Leo, Micaela Ramazzotti, Gloria Harvey e gli altri ragazzi che fanno parte della comunità di recupero di Terry. Sono contenta perché è un film molto importante, che possiede i toni della commedia ma che affronta l’importantissimo tema della malattia mentale e soprattutto del recupero e del reinserimento delle persone che convivono con queste problematiche. Spesso i problemi mentali rappresentano un argomento tabù e parlarne in maniera normale, con leggerezza e nel quotidiano può dare un bel segnale. Il cinema può avere una funzione molto importante in questo. Fare parte di un progetto che, oltre a divertire, può lanciare un messaggio è per me grande motivo d’orgoglio.
Che sfida ha rappresentato per te interpretare Camilla?
È la fidanzata di Bruno, il personaggio interpretato da Edoardo Leo, che si ritrova a subire il ritorno travolgente dell’ex moglie nella vita del compagno ma lo fa in maniera passiva. Camilla è molto inquadrata, innamorata e vorrebbe costruire qualcosa. Di lei ho amato la grandissima dignità, perché accetta con grande maturità la situazione anomala di avere un fidanzato che si ritrova a vivere con la sua ex moglie. A un certo punto si ritroverà a reagire, con grande compostezza, a una situazione che non sente più sua e che non le appartiene più.
Com’è stato lavorare con Guido Chiesa?
È stato bellissimo, è un regista di cui mi sono innamorata per le qualità professionali e umane. Possiede una grande educazione, gentilezza e semplicità che sono rare in questo mondo. Nel nostro lavoro si può essere stressati o nervosi, Guido invece ci ha accolti sempre con il sorriso e con una gentilezza tipica di altri tempi. Penso che lavorare con lui sia un grande privilegio.
Di recente ti abbiamo vista in diverse commedie, tra cui “Flaminia”, diretto da Michela Giraud. Cosa ha rappresentato per te questo set?
Le commedie di cui ho fatto parte durante l’ultimo periodo hanno rappresentato un po’ una sorpresa perché in realtà, prima di allora, avevo fatto principalmente ruoli drammatici, come in “Squadra Antimafia”, in “Sacrificio d’amore” e in “Braccialetti Rossi”, invece nell’ultimo periodo sono ritornata al cinema con delle commedie e mi ha fatto tanto piacere, dal momento che avevo iniziato con questo genere in “Baciami Ancora” e “Immaturi – Il Viaggio”. C’è un filo conduttore tra “30 notti con il mio ex” e “Flaminia” perché entrambi utilizzano i toni della commedia per trattare tematiche più serie. Mi ha fatto molto piacere far parte di quel progetto e raccontare un argomento importante come l’autismo. Ho legato molto con Michela Giraud e si è creato un bel rapporto d’amicizia e ci ha coinvolto in questo film che per lei è stato un pezzo di cuore.
Un’altra commedia in cui ti abbiamo visto è “Come può uno scoglio”, diretta da Gennaro Nunziante e con protagonisti Pio e Amedeo. Perché è stato un set importante per te?
Sicuramente girare con Gennaro Nunziante è stato molto istruttivo, perché è un genio della commedia. Ricordo quanto mi abbia insegnato riguardo i tempi comici, che ovviamente Pio e Amedeo possiedono di natura. Loro sono stupendi, carinissimi, mi hanno accolto molto bene ed è stato bellissimo lavorare insieme.
“Squadra Antimafia” e il ruolo di Rachele Ragno ti hanno regalato grande popolarità. Secondo te, è un pro o un contro per un’attrice?
È sicuramente un aspetto positivo, una forma di riconoscimento e di apprezzamento. Lavoriamo per essere visti, trasmettere qualcosa che possa essere un messaggio o un’emozione e, se accade, è bellissimo perché viene riconosciuto il nostro lavoro.
Com’è stato confrontarti con una cattiva?
Inizialmente è stato molto impegnativo, perché pensavo di non avere niente a che fare con questo personaggio. Ero un po’ spaventata perché non mi aspettavo di essere presa e mi sono ritrovata a parlare un dialetto che non conoscevo e a maneggiare le pistole che non avevo mai usato. È stato molto importante anche il lavoro di preparazione e di umanizzazione per capire cosa ci fosse dietro ai gesti violenti che lei mette in atto, comprendere da cosa potessero essere scaturiti e cercare di avvicinarla a un personaggio sempre più vero. Me la sono cucita addosso e, una volta presa confidenza, girare le scene delle sparatorie è stato divertentissimo e un enorme privilegio potermi misurare per tre anni con un ruolo così diverso da me. Lo ritengo un lusso che non spesso gli attori hanno. Non tutti hanno la possibilità di trasformarsi e sono grata a Pietro Valsecchi per avermi dato questa opportunità.
Cosa significa misurarsi con le diversità dei personaggi?
Fa parte del mio lavoro: da una parte metto sempre del mio nei personaggi, tendendo ad avvicinarli a me, ma è anche doveroso fare il contrario. È una sfida doppia, che riesce a farti esplorare parti del carattere che non ti appartengono, ma che in qualche modo conosci, che possono arricchirti e diventare parti di te. Inoltre, misurandoti con dei lati dei personaggi può fartene scoprire altri di te e, in qualche modo, darti la possibilità di approfondirli e di lavorarci su. È un lavoro molto istruttivo e catartico. Non a caso la teatroterapia esiste ed è un percorso di approfondimento sulla propria psiche, che noi abbiamo il privilegio di fare mentre ci troviamo su un palco o su un set ed è sempre bellissimo.
Pensi che Rachele sia il personaggio più distante da te?
Assolutamente sì, essendo lei una mafiosa siciliana è quella che prima di interpretarla mi ha intimorito di più. Sono riuscita a farla mia, ma credo sia stato il ruolo più distante da me.
C’è qualcosa che ti spaventa del tuo lavoro?
Sicuramente la sua precarietà. In qualsiasi lavoro se hai un curriculum e hai fatto degli studi a riguardo, puoi lavorare in quell’ambito. Il nostro mestiere, invece, viaggia spesso sul piano della soggettività: un attore può piacere o no, pesano le altre esperienze che fa, se va di moda o no e ci sono dei periodi in cui magari si lavora tanto e altri meno. Questo può essere un po’ faticoso da sopportare perché non dipende da te e dall’oggettività del tuo percorso. A volte questo può comportare di mettere in discussione il percorso identitario professionale di un attore e di una persona. Bisogna imparare a convivere con questi alti e bassi e non è facile ma, allo stesso tempo, ti regala anche tantissime soddisfazioni che ti fanno resistere a questa instabilità.
Chi è Francesca artisticamente?
Sono una persona innamorata del mio lavoro ed è l’unica cosa che mi rende veramente felice. La soddisfazione di potermi emozionare e suscitare una reazione importante al pubblico è un aspetto meraviglioso e di cui sono dipendente. In questo periodo ho fatto tanto teatro, sentire il calore del pubblico che ti applaude e vedere le persone che ti aspettano fuori con gli occhi lucidi e che ti ringraziano, perché magari li hai spinti a riflettere o li hai emozionati, è una gioia immensa. La recitazione ti fa entrare in comunicazione emotiva e c’è uno scambio di stati d’animo fortissimo.
Il teatro è un altro mondo che ti appartiene. Cosa ami del palco?
È stata una bellissima scoperta, perché avevo iniziato facendo teatro a liceo, sono entrata al Centro Sperimentale e mi sono avvicinata al mondo della macchina da presa, per ritornare alle origini un po’ per caso e devo ringraziare il destino che mi ha riavvicinata al teatro. Amo sia il palco sia il set, la scarica di adrenalina che si prova prima di andare in scena la avverto in entrambi i mondi ed è ciò che mi tiene legata a questo lavoro. Amo le emozioni che sanno darti il contatto diretto con il pubblico e le interazioni con la loro energia, perché cambia ogni sera e noi attori rispondiamo anche in base a ciò che percepiamo dalla platea. Inoltre, mi piace tanto la dimensione della tournée, del viaggiare tutti insieme come in “Turné” di Gabriele Salvatores. Ci troviamo molto bene e riprenderemo lo spettacolo “Uno, Nessuno e Centomila” questa estate e il prossimo anno.
Com’è andata l’esperienza in “Uno, nessuno e centomila”?
È andata molto bene, ha avuto molto successo, siamo stati in teatri molto importanti registrando sold out al Duse di Bologna, al Piccinni di Bari e al Gioiello di Torino. Siamo veramente contenti perché è tratto da un romanzo molto complesso e adattarlo a teatro non era facile. Tuttavia, il pubblico ha risposto benissimo con grande stupore e con grande gioia. Abbiamo fatto anche tante scolastiche con i ragazzi e quando riesci a catturare la loro attenzione e ad ottenere una risposta bellissima da parte dei giovani significa che funziona. Racconta una tematica molto attuale, soprattutto in un mondo social improntato sull’apparenza e che ti fa porre domande come: “Chi sono io per me e per chi mi guarda?”. Siamo orgogliosi di portarlo in giro.

Hai lavorato con registi come Gabriele Muccino, Paolo Genovese, Guido Chiesa e tantissimi altri. Cosa pensi ti abbiano lasciato ognuno di loro?
Ho avuto la fortuna di lavorare con registi straordinari e ognuno di loro mi ha regalato il suo mondo e la sua artisticità. Di Muccino ricordo la sua irruenza emotiva, che ritroviamo nei suoi film. Quando ci spiegava le scene lo faceva mettendoci il cuore ed eravamo trainati da questo vortice emotivo. Paolo è stupendo, un maestro della commedia di altissimo livello, simpaticissimo. Mi ricordo che ci siamo divertiti tantissimo e abbiamo passato un mese e mezzo a Paros. Guido è un gentleman e con questo film è riuscito a muoversi magistralmente e con maestria tra la commedia e il dramma. Ma tutti i registi con cui ho lavorato mi hanno lasciato qualcosa di importante.
Se fossi una giornalista che domanda faresti a Francesca?
Le chiederei se sono felice e risponderei di sì, sono molto contenta, anche grazie al lavoro che ho fatto su me stessa e di cui sono molto orgogliosa, e sono arrivata a un momento di pace molto bello.
Conosciamo anche la tua passione per il vino. Se fossi un vino, quale saresti?
Sarei un Riesling della Mosella perché è un vino che ha una meravigliosa capacità di trasformazione pazzesca, di invecchiamento e di arricchimento. Lo adoro e spero di essere così: che migliora con il passare degli anni.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Faccio questo lavoro perché sono una grande fruitrice di film e di serie tv e a volte vado al cinema anche da sola. Da spettatrice, ho avuto la fortuna di passare dall’altra parte, ma continuo cerco di guardare più film e serie che posso perché non smettiamo mai d’imparare e dobbiamo sempre lasciarci travolgere dalla voce dello schermo.
Di Francesco Sciortino