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Dom. Giu 15th, 2025

Intervista a Fabiana Udenio: “Dal teatro di Strehler a ‘FUBAR’ con Arnold Schwarzenegger. Mi piacerebbe tornare a recitare anche in Italia” L’attrice, che stiamo vedendo riprendere il ruolo di Tally nella seconda stagione della serie Netflix, si racconta su “La voce dello schermo”.

Giu 13, 2025

Fabiana Udenio è uno dei talenti che la recitazione italiana si è lasciata scappare in passato per trovare maggiore fortuna in America. Lanciata da giovanissima a teatro ne “La tempesta” di Strehler, che nutrì per lei una profonda stima artistica, e avvicinatasi alla commedia musicale con Domenico Modugno, Fabiana ha sempre mostrato una grande attitudine internazionale e un modo di essere profondamente innovativo che l’hanno portata ad allontanarsi dall’Italia. È, infatti, con prodotti made in USA, come “Scarlatto e Nero” con Gregory Peck e con la soap “Una vita da vivere”, che l’attrice raggiunge una vera e propria consacrazione a stelle e strisce. Da lì arriva l’iconico ruolo di Alotta Fagina (Annabella Fagina) in “Austin Powers – Il controspione” e tantissime interpretazioni in serie di successo come “Walker Texas Rangers”, “Baywatch”, “90210” e “Jane the Virgin”. Dal 12 giugno la stiamo vedendo su Netflix, nuovamente nei panni di Tally, nella seconda stagione di “FUBAR” al fianco di Arnold Schwarzenegger.
Abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistare proprio Fabiana Udenio che si è raccontata su “La voce dello schermo”. L’attrice ha parlato dell’esperienza in “FUBAR”, sottolineando quali corde abbia amato toccare durante le due stagioni della serie e cosa abbia rappresentato per lei lavorare con Schwarzenegger. Fabiana ha proseguito ricordando le esperienze che hanno reso indimenticabile la propria carriera da attrice, dagli esordi con Strehler e Modugno fino alle esperienze in “Una vita da vivere” e in “Austin Powers”. Tuttavia, una brillante carriera in America non le ha fatto dimenticare l’amore per l’Italia e ci ha confidato, infatti, la sua voglia di tornare a recitare nel nostro Paese e un suo interessante desiderio artistico. A voi…

Crediti Netflix

Dal 12 giugno ti stiamo vedendo riprendere i panni di Tally nella seconda stagione di “Fubar”. Cosa hai amato di questa esperienza?

Lavorare con questo team è stato veramente un sogno, dai produttori Adam Higgs e Nick Santora ad Arnold Schwarzenegger. Ho conosciuto gente molto professionale, che ascolta, con cui si riesce a creare una grande comunicazione sul set sia nella costruzione dei personaggi sia di esecuzione. Ho trovato una grande sintonia con tutti.

Cosa hai amato di Tally?

È una donna che ha molto in comune con me perché ha messo la famiglia in primo piano e le ha dato la priorità. Inoltre, è stato interessante esplorare la sua passionalità e l’amore che condivide con quest’uomo. Sono divorziati ma, appena si rincontrano, si riaccende la passione. Mi ha molto affascinato questa parte di Tally. La seconda stagione è molto divertente. I nostri personaggi si trovano tutti all’interno di un rifugio per un programma di protezione testimoni. Ho potuto far vedere dei colori di Tally che il pubblico non si aspetta.

Oltre a questo, cosa rende interessante la seconda stagione?

Assistiamo anche all’ingresso di un nuovo personaggio, interpretato da Carrie – Anne Moss, e si tratta di una spia e un’ex di Luke e proveniente dal suo passato. Questo crea a Tally diverse insicurezze e gelosie. Ma, come dico sempre: “fate attenzione a fare ingelosire una donna italiana!” (ride ndr) Durante questa stagione, Tally si trova a mettere in discussione tutte le proprie certezze.

La serie possiede un’interessante varietà di generi. Com’è stato trovare un equilibrio tra lo spionaggio e la comedy?

Mi ha divertito molto. È una serie che non si prende troppo sul serio e vede la parte action unirsi a una grande comicità un po’ scanzonata. La seconda stagione è un po’ pazzerella, perché troviamo i personaggi in un ambiente quasi claustrofobico e che crea delle dinamiche diverse e molto buffe. È una serie che, in questo momento mondiale così travagliato, arriva come una boccata d’aria fresca.

Com’è stato lavorare con Arnold Schwarzenegger?

Nella prima stagione, durante il Covid, è stato impegnativo fare prima delle letture su Zoom per poi andare direttamente sul set a ricreare un rapporto con quest’uomo che conosco da decenni e che stava ancora dietro a Tally. Inizialmente, ero un po’ protetta dal personaggio. Successivamente, si è creata una grande sintonia perché è una persona veramente piacevole, che scherza, molto preparato e professionale.

Che rapporto avete creato?

Sicuramente un rapporto di fiducia, in cui abbiamo lavorato, giocato e scherzato. Si è creata un’armonia divertente. Arnold è un grande professionista. Quando abbiamo girato le scene con il coordinatore d’intimità, una volta disse scherzando che avevo richiesto uno specialista d’amore. È una persona di cui mi fido molto sul set e ci siamo trovati molto bene. Nutro una grande stima per lui, è una figura che ispira, trascina e racconta le sue storie, che vale la pena ascoltare, sia a livello politico sia di attore sia da sportivo.

Crediti Netflix

Il tuo legame con la recitazione in America nasce in “Scarlatto e Nero” con Gregory Peck. Cosa ricordi dei tuoi esordi?

Era una miniserie girata in Italia, non mi ero ancora trasferita negli Stati Uniti. Avevo già maturato la volontà di recitare anche in inglese, dal momento che stavo avendo un po’ di difficoltà a lavorare nelle produzioni italiane. Non mi trovavo bene e non vedevo tanta meritocrazia. Ai tempi c’era la tendenza di scegliere modelle che venivano doppiate e non c’era una competizione molto paritaria. Soffrivo molto questa situazione, nonostante lavorassi in Italia, ma facendo tanto teatro. Dopo, durante gli anni di “Beautiful”, mi scelsero per una soap, “Una vita da vivere”, in cui interpretavo Giulietta ed era conosciutissima negli Stati Uniti, ma poco in Italia. Da lì, il destino mi ha portata a continuare in America.

Come pensi di essere cambiata da allora?

Recitare in un’altra lingua mi ha portato una grande elasticità riguardo gli stili di recitazione. Provenendo dal teatro di Strehler e avendo più una base drammatica, ho dovuto imparare le regole della commedia in un’altra lingua e ho fatto diverse sit-com. Ho imparato il tempismo della comedy e a essere più disponibile a sperimentare aspetti che potrebbero mettere paura a tanti attori. Un esempio fu il personaggio di Alotta Fagina in “Austin Powers”. Ci voleva un po’ di coraggio per lasciarsi andare a un progetto così comico e parodistico. Bisognava fidarsi del contesto, dei registi e recitare con serietà e, allo stesso tempo, senza prendersi troppo sul serio.

Cosa ti ha insegnato l’avere la possibilità di recitare in contesti diversi?

A essere flessibile e a sapermi adattare. Sono nata in Argentina, parlo lo spagnolo, ho fatto molti ruoli latini, ho riprodotto molti accenti, dal francese al russo o all’ucraino.

Secondo te, la recitazione è universale o cambia in base al luogo?

È sia universale sia personale. È un’arte soggettiva, non ha delle regole precise anche seguendo metodi di recitazione. Ci sono vari modi per arrivare allo stesso risultato. Può cambiare un po’ in base alla lingua. L’inglese, ad esempio, è una lingua più diretta e si adatta maggiormente a una recitazione più sottile. L’italiano, essendo più drammatico, ha maggiori connotazioni passionali. Ci sono vari stili di linguaggio e c’è sempre un tono in ciò che si interpreta, l’aspetto principale è capirlo per poi adeguarti.

Perché molti attori trovano la propria strada in America piuttosto che in Italia?

Quando iniziai la mia carriera, mi sentivo più apprezzata in America come attrice rispetto in Italia. Quando sono andata via, trovavo più chiuso l’ambiente cinematografico e molto politico quello televisivo. Gli Stati Uniti mi hanno offerto una situazione più logica nell’avvicinarmi ai ruoli da interpretare. Adesso, ultimamente, vedo che il vento sta cambiando anche in Italia e ammiro grandi talenti sia a livello di recitazione sia di regia. È importante avere delle regole in cui il talento accomuna tutti e viene messo in primo piano. Infine, negli States ho trovato più una capacità di apprezzare la recitazione per se stessa, senza troppe etichette.

Ti piacerebbe tornare a recitare in Italia?

Assolutamente sì, ho un figlio di diciannove anni che adora l’Italia, mi mancano gli affetti e mi piacerebbe recitare nella mia lingua. Ho sempre mantenuto un ottimo rapporto con l’Italia, ma il lavoro mi ha portato negli Stati Uniti. Durante i miei esordi italiani, ho fatto dei progetti che non hanno avuto il successo che mi aspettavo, ma l’Italia è sempre stata nel mio cuore. Sono contenta di far parte di una serie internazionale come “FUBAR”, che va in onda in tutto il mondo, e spero mi possa rimettere sulla cartina geografica italiana.

C’è stato un momento della tua carriera in cui hai messo la recitazione in secondo piano per dare la priorità alla tua vita da madre. Come pensi dovrebbe essere conciliata la realizzazione personale tra l’essere madre e il lavoro?

È un aspetto che ho esplorato un po’ nella seconda stagione di “FUBAR”. Nel mio caso, mio figlio soffre del disturbo dello spettro autistico e mi sono dovuta concentrare sul suo sviluppo. Però sono contenta di essere riuscita a mantenere quella parte di carriera e di me stessa perché la ritengo vitale e penso sia fondamentale mantenerla viva, perché ci rende migliori. La recitazione è per me un grande sfogo e una grande evasione da tutto ciò può essere negativo nella vita.

Ci tieni a far sentire la tua voce riguardo il tema dell’inclusione. Come ti batti per questo?

Proprio per mio figlio, ho sempre lottato molto per farlo sentire incluso in tutte le scuole. Spesso è molto più facile fare classi separate, con la scusa che si insegna individualmente. Personalmente, non credevo molto in questo sistema e ho sempre lottato per garantire a mio figlio l’inclusione. Devo dire che ha portato sempre a degli ottimi risultati.

C’è qualcosa che ti preoccupa in questo momento?

Purtroppo, al momento mi preoccupano i tagli che stanno facendo nel campo della sanità e dell’educazione e sento tante madri preoccupate su come potrebbero influire e toccare queste fasce della popolazione che sono i giovani. Sarebbe una grande tragedia se questi diritti venissero a mancare. È importante, per tutti noi, essere inclusivi come persone e insegnare ai figli ad abbracciare le diversità o le disabilità.

La tua carriera è ricca di soddisfazioni, quali pensi siano state le tappe che l’hanno segnata in positivo?

Il mio primo biglietto da visita è stato sicuramente il ruolo di Miranda ne “La tempesta” di Strehler, che mi scelse da giovanissima. Pensavo quella fosse la mia carriera. Ho iniziato a tredici anni e l’abbiamo ripresa qualche anno dopo. Il mio sogno era di interpretare Giulietta diretta sempre da lui, ma non è accaduto. Poi ho avuto una fase in cui mi sono avvicinata al teatro musicale, mi piaceva la danza e cantare. Feci una commedia musicale con Domenico Modugno a diciassette/diciott’anni e che mi avrebbe potuto portare più verso il genere varietà. In seguito, c’è stata la soap che mi ha avvicinato negli States, da lì il confronto con la commedia brillante e che mi ha allontanato dal genere drammatico.

Che artisti erano Modugno e Strehler?

Erano dei grandi mattatori e con grande carisma. Strehler mi trasmise molta fiducia in me stessa e mi scrisse delle lettere con dei complimenti che mi sono portata per tutta la vita. Una volta, durante le prove, fece un’improvvisazione e mi disse: “Vedi? Questo è il talento!”. Quel momento non me lo dimenticherò mai. Modugno, invece, mi disse: “Tu canti e sai cantare!”. Con lui ho fatto una tournée e quando andammo in Puglia mi resi conto dell’impressionante popolarità che aveva. Era un istrione. Al ristorante prendeva la chitarra e iniziava a cantare. Era sempre coinvolgente e divertente.

Se fossi una giornalista che domanda faresti a Fabiana?

Le chiederei: “Con quale artista italiana vorresti lavorare?” e risponderei con Paola Cortellesi. Per me è eccezionale, l’ho conosciuta in ritardo, ma ho visto tantissimi film con lei, l’ammiro molto e ho amato “C’è ancora domani”. La reputo incredibile e se dovessi scegliere un’artista italiana sceglierei lei.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Significa essere portati su un altro mondo, immedesimarsi e mettersi nei panni di altre persone. Più la voce è importante, più funziona e più riesce a trasportarti in un’altra dimensione e diventa un’esperienza di catarsi.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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