In questi giorni stiamo ammirando Mariana Falace in “Sara – la donna nell’ombra”, nuova serie Netflix prodotta da Palomar, diretta da Carmine Elia e con un grandissimo cast composto da lei, Teresa Saponangelo, Claudia Gerini, Carmine Recano, Giacomo Giorgio e Chiara Celotto.
In occasione dell’uscita della serie, abbiamo intervistato proprio Mariana Falace. L’attrice ha confidato cosa abbia significato per lei interpretare Rachele in “Sara – La donna nell’ombra” e ci ha parlato del grande lavoro svolto per donare una grande autenticità al personaggio e per ricreare il dolore molto forte che vive. Inoltre, Mariana ha ricordato le esperienze più importanti della propria carriera, da Regina in “A casa tutti bene – la serie”, diretta da Gabriele Muccino; a quello di Tina Gastaldi in “Si vive una volta sola” di Carlo Verdone , fino ad arrivare a “È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino. Elia, Muccino, Sorrentino, Verdone, nomi importanti del nostro cinema e che fanno comprendere il percorso artistico di Mariana Falace. A voi…

Salve Mariana, benvenuta su “La voce dello schermo”. Ti stiamo vedendo interpretare Rachele in “Sara – La donna nell’ombra” su Netflix. Che esperienza è stata per te?
Salve a tutti, grazie. È stata un’esperienza molto intensa. Come emerge durante la visione della serie, Rachele è un personaggio chiave e dà una mano importante a Sara a risolvere l’indagine. Il regista (Carmine Elia ndr) voleva un personaggio molto vero e ho dovuto lavorare molto verso questa direzione. Ci sono scene molto significative, come il chiarimento con Sara e la rottura del rapporto con il padre, in cui ho dovuto mettere tutta me stessa per raccontare, nel migliore dei modi, il passaggio da un rapporto di fiducia estremo a un profondo tradimento.
Com’è stato essere diretta da Carmine Elia?
È un regista che vive la scena molto profondamente. Voleva che Rachele avesse una grande intensità e che io provassi il suo stesso dolore. Ho dovuto smettere completamente di essere Mariana per diventare lei. Con Carmine sono riuscita a oltrepassare la linea che divide l’attore dal personaggio e a farmi assorbire in toto da Rachele.
Come si arriva a un’autenticità del genere?
Credo che, oltre a uno studio e a un lavoro su noi stessi, occorra restituire cuore ed emozioni all’interpretazione, altrimenti non si arriverà mai al pubblico. È fondamentale donare una notevole intensità al personaggio. Per rendere autentica Rachele, ad esempio, ho lavorato molto su questi aspetti e ho attinto da situazioni mie del passato per farmi attraversare da quel dolore che alberga in lei.
Durante il tuo percorso artistico, Gabriele Muccino è stato sicuramente uno dei registi più importanti. Hai iniziato con lui ne “Gli anni più belli” e nel cortometraggio “Open Your Eyes”. Come sono andati i primi passi sotto la sua direzione?
L’ho conosciuto durante una masterclass. Ero stata appena presa per “Si vive una volta sola”, che ha rappresentato il mio primo film. Con Gabriele, iniziai facendo un provino per “Gli anni più belli”. In quella circostanza, mi ritrovai Pierfrancesco Favino accanto e mi sentii piccola come una formica, essendo una delle mie prime esperienze. Gabriele, invece, mi ha stupito perché possiede la grande dote di mettere tutti gli attori sullo stesso piano e di farli sentire allo stesso livello. Ha reso quell’esperienza un battesimo stupendo che ho avuto nell’arte. Mi ha dato grande fiducia, perché mi sono detta: “Davvero mi sta mettendo sullo stesso piano di un attore del genere? Allora sono in grado di farlo”.
Poi è arrivato il ruolo di Regina in “A casa tutti bene – La serie”. Che esperienza è stata per te?
Dopo aver fatto il provino, ho dovuto aspettare due mesi e mezzo ed è stata un’agonia. Gabriele voleva provare le coppie e osservare la sinergia che si creava, tra me e Antonio Folletto si è instaurato subito un feeling artistico particolare e da lì mi scelse. È stato un viaggio stupendo e siamo diventati una famiglia su quel set. Spero vivamente si faccia una terza stagione.
C’è questa possibilità?
Non si sa. È ancora un grande punto interrogativo. Lo spero, perché sarebbe un peccato lasciare i Ristuccia così, però vedremo.
Quali opportunità offre poter lavorare con un regista come lui?
Lo chiamo “Tornado Gabriele”. Prima di iniziare un ciak, riviveva la scena e gli piaceva girarla senza la macchina da presa e soltanto con noi attori. Ci ripeteva il copione per poi gettarlo via dicendo: “fatemi la scena”. In alcuni casi abbiamo avuto anche la possibilità di improvvisare parte delle nostre battute e ci ha lasciato grande libertà. È un regista che stimola la genialità dell’attore.
Cosa ricordi, invece, di “Si vive una volta sola” di e con Carlo Verdone?
Aver avuto la possibilità di essere diretta da registi come Verdone, Muccino, Sorrentino e tutti gli altri è sicuramente un grande privilegio. Devo ringraziare ognuno di loro, perché mi hanno lasciato tutti qualche pezzettino che mi porto nel cuore fondamentale alla costruzione di me stessa e di ciò che voglio essere. So dove vorrei arrivare e la mia intenzione è di continuare a girare film importanti e di spessore. Di Verdone ricordo la semplicità e l’umiltà. Mi disse: “sii umile nella vita e vedrai che le cose arrivano”. Nel mio primo film mi trovai sul set con lui, Anna Foglietta, Max Tortora e Rocco Papaleo. Il primo giorno di set mi presentò al cast dicendo: “Lei nel film è mia figlia”. Da lì è diventato tutto molto naturale. Carlo non si sforza quando recita e dirige, è uno dei nostri big del cinema e ha fatto la storia.
Ultimamente ti abbiamo vista anche in “Muori di lei” con Riccardo Scamarcio. Com’è andata?
È stato molto divertente perché ho interpretato la moglie di Paolo Pierobon. Stefano (Sardo ndr) mi aveva vista in “A Casa tutti bene – La serie” e mi chiese un provino dal vivo per il ruolo di Daria. Quando andai a fare il provino, arrivai con una valigetta e tutta sudata – perché avevo preso la metro – e dissi: “No, aspettate! Datemi cinque minuti prima di fare il provino, mi devo cambiare”. Stefano mi guardò e disse: “Ma sta pazza da dove esce?!” (ride ndr). Dopo due mesi di agonia arrivò il sì e sono stata molto contenta di essere stata diretta da lui e di aver recitato con Riccardo Scamarcio, Paolo Pierobon, Maria Chiara Giannetta e Mariela Garriga. È stato bello lavorare con questa squadra di grandi attori. Scamarcio, inoltre, è pazzesco, un gentleman, una persona cortese e solare.
Cosa cerchi di esplorare nelle tue interpretazioni?
Cerco un modo per comunicare qualcosa che possiedo dentro di me e che mi porta ad allontanarmi dalla mia vita per viverne altre. Recitare mi dà la possibilità di poter vivere più vite, esperienze e sensazioni. Adesso vorrei raccontare personaggi molto forti e che possano scuotermi totalmente, perché ne avrei davvero bisogno in questo momento.
Chi è Mariana artisticamente?
È una persona molto professionale ed è un termine che mi danno spesso i registi con i quali lavoro. Mi ritengo precisa, scherzosa, mi piace molto il mio lavoro e trasmetto questo amore alle persone che mi circondano sul set. Artisticamente credo di essere la persona che sono fuori, forse un po’ meno pazzerella! (ride ndr)
Come riesci a dare il meglio di te?
Attraverso il percorso che faccio al di fuori del mio lavoro. Sto studiando tantissimo in accademia e in futuro vorrei interpretare Antigone di Sofocle. È una paladina della giustizia. In questo momento della mia vita professionale, vorrei continuare a girare film ma, allo stesso tempo, mi piacerebbe portare avanti uno spettacolo teatrale dove io interpreto Antigone.
Come vorresti avvicinarti ulteriormente al mondo del teatro?
Vorrei avvicinarmici sempre di più. Credo che ti formi tantissimo. Teresa Saponangelo e Paolo Pierobon sono attori fantastici, anche perché hanno vissuto il palcoscenico. Il teatro non si può fare con superficialità e deve essere fatto bene perché si deve essere pronti per andare in scena. Soprattutto in tragedie come Antigone o Elettra, non si possono fare di punto in bianco, ma si devono vivere e studiare a fondo. Bisogna creare delle basi, occorre prima rompersi dentro, conoscere tutte le nostre sfaccettature, per poi donare qualcosa a questi grandissimi personaggi.

Ci sono altre esperienze a cui sei maggiormente legata?
Sicuramente sono legata a “È stata la mano di Dio”, nonostante mi veda poco. Ricordo che Sorrentino inizialmente non voleva provinarmi perché era alla ricerca di una donna che sembrasse americana. Alla fine, si convinse, entrai in questa stanza con lui e la casting director e andai con l’intenzione di prendermi quel ruolo, pronta e già nel personaggio. Rimase colpito, dopo quattro giorni mi arrivò il sì e superare un provino in quel modo è stata una gratificazione che mi porto dentro. Poter vedere Sorrentino sul set è un’esperienza quasi onirica. Stava lì, con il sigaro, si toccava i capelli ed è un regista che immagina e vede la scena nel momento in cui ti guarda. Mi ha dato anche una pacca sulla spalla e riceverla da lui non è semplice.
Dove vuole arrivare Mariana?
Mi piacerebbe interpretare personaggi che mi portino sempre più a farmi apprezzare dalla critica e a farmi riconoscere dal pubblico. Mi ricordo che una volta mi trovavo in un locale a San Giorgio. Ero con il mio cagnolino, a un tratto, si avvicinò una bambina e pensavo volesse accarezzare il mio barboncino. In realtà, voleva farsi la foto con me perché mi aveva visto in “A casa tutti bene – la serie”. È stato emozionante e mi ha portato una gratificazione impagabile. Quando le persone mi incontrano e mi fanno i complimenti, dicendomi che le ho fatte emozionare attraverso le mie interpretazioni, è sicuramente una grande gioia. Il mio obiettivo è regalare emozioni.
Quanto è importante per te il pubblico?
Per un attore è fondamentale e lo è sempre stato perché vive del rapporto con il pubblico, delle emozioni e della credibilità che deve trasmettergli.
Guardando indietro, come vedi il tuo percorso artistico?
Sono contenta del mio percorso, ovviamente credo si possa sempre fare meglio. Spero di poter lavorare nuovamente con i registi con cui ho lavorato e con altri. Ho avuto modo di collaborare con grandi professionisti e mi ritengo molto fortunata e grata perché non ho mai avuto un’esperienza negativa, anche dal punto di vista umano. Ho conosciuto persone sempre disponibili e che fanno questo lavoro con la passione vera.
Se fossi una giornalista che domanda faresti a Mariana?
Le chiederei come si sente in questo momento della sua vita. Risponderei che sto iniziando a costruire una nuova Mariana e spero sempre di migliorarmi.
Come mai hai scelto Mariana come nome d’arte?
In realtà, non è un nome d’arte scelto da me. Mi chiamano tutti Mariana sin da quando ero bambina. Le mie nonne si chiamano Maria, è un nome molto usato e che esprime una grande sacralità. Mia madre mi ha sempre chiamato Mariana perché fino al sesto mese di gravidanza pensava potessi essere un maschio, dal momento che non si capiva bene il sesso. Le piaceva molto il nome Mariano, nel momento in cui sono nata e vide che ero una femminuccia, mi diede il nome delle mie nonne, Maria, ma mi ha sempre chiamato Mariana.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa andare in una sala cinematografica e tornare un po’ bambini, con i popcorn in mano. Ascoltare la voce dello schermo, in una sala o a casa, mi fa sentire bene.
Di Francesco Sciortino