Si è conclusa mercoledì 22 dicembre la seconda stagione di “Mare Fuori”. La serie ambientata all’interno dell’IPM (Istituto di pena minorile) di Napoli ha lasciato ancora una volta a bocca aperta i telespettatori anche e soprattutto per le intense interpretazioni dei giovani protagonisti. Uno di questi è senza dubbio Massimiliano Caiazzo, interprete di Carmine Di Salvo che ci ha regalato, durante i nuovi episodi, un Carmine più maturo, tormentato dal dolore e che ha un po’ perso la rotta giusta. Su “La voce dello schermo” abbiamo intervistato proprio Massimiliano, una delle stelle di questa serie e uno dei giovani attori più interessanti di televisione e del cinema nostrano. L’attore si è raccontato parlando del finale di stagione di “Mare Fuori”, degli aspetti che ha amato di più della serie e del suo personaggio, del suo modo di vedere il cinema italiano, dei suoi modelli e dei suoi obiettivi lavorativi.
Salve Massimiliano, benvenuto su “La voce dello schermo”. Carmine è sempre stato un personaggio che ha dovuto convivere con il suo dolore e che faceva fatica a intravedere la luce in fondo al tunnel. In questa stagione il dolore è diventato anche rabbia. Dove hai trovato la forza di far uscire un simile stato d’animo?
Salve a tutti! Ho cercato di agganciare le motivazioni del personaggio alle mie. Quando c’è qualcosa di bello che ti ispira a cercare quella luce in fondo al tunnel e poi ti viene tolto, inevitabilmente esce fuori un urlo che in precedenza rimaneva muto perché non c’era il coraggio di tirarlo fuori, temendo di perdere quel poco di bello che ti restava. Quando a Carmine viene tolta Nina, che era una delle pochissime persone che gli davano la forza di stare in piedi, ha dovuto tirare fuori quell’urlo e che non poteva più restare muto.
C’è stata una scena durante l’ultima puntata di mercoledì che ha stupito il pubblico: il faccia a faccia tra Carmine e Totò. Puoi raccontarci dei retroscena a riguardo?
Ho cercato di affidarmi anche all’improvvisazione in quella scena. Alcune battute che avete sentito sono improvvisate perché ho preferito calarmi nelle circostanze, viverle secondo quella verità, senza raggiungere per forza un risultato prefissato. Non volevo andare lì con la convinzione di perdonarlo ed è stata dura perché volevo proprio scoprire se Carmine fosse disposto a perdonarlo in quel momento. Leggendo le sceneggiature avevamo parlato tanto con Antonio Orefice riguardo quella scena. Dopo abbiamo smesso di parlarne per rendere più credibili le reazioni dei personaggi. Il giorno della realizzazione non ci siamo proprio parlati né guardati, perché volevamo dare tutto in quella scena lì e mi sono lasciato guidare dal personaggio. È stato complicato accettare che fosse stato lui a commettere l’omicidio. In quel momento Carmine si rende conto davvero che Nina non ci sia più. Mentre nella scena con Pirucchio si era reso conto di non essere una persona che uccide per vendetta, in quella con Totò elabora il lutto. In quell’abbraccio non c’è un perdono, ma più che altro un’accettazione. Il perdono si avrà nella scena in cui Totò viene trasferito e sta pagando per quello che ha fatto. Tutto questo lo aiuta a tornare il Carmine di sempre, che aiuta il suo amico, che si sacrifica per le persone a cui vuole bene e che vuole essere un padre migliore per sua figlia e darle una famiglia migliore rispetto a quella che ha avuto lui. Tutto questo avviene solo al termine di un percorso che gli ha permesso di accettare molte cose e di riprendere in mano la propria vita.
Quali sono gli aspetti che hai amato di Carmine?
Sicuramente la gioia per la vita, che viene raccontata attraverso il rapporto con Nina e la figlia. Emerge al suo risveglio, e in un contesto tra lotte di famiglie in cui è cresciuto Carmine, la sua voglia di aggrapparsi alla vita in maniera quasi viscerale. Ho apprezzato molto la scelta che abbiamo fatto insieme a Milena (Cocozza ndr.) di voler raccontare questa voglia di vivere di Carmine e la felicità di essere sopravvissuto per miracolo, uno stato d’animo che poi si capovolge alla scomparsa di Nina e si trasforma in sete di vendetta.
Cosa hai apprezzato del suo cambiamento?
Ho apprezzato la voglia di cambiare Carmine e di accompagnarlo verso un cambiamento graduale. Non amo tanto quando nei film o nelle serie sono presenti dei cambiamenti netti che non vengono motivati o raccontati, come quando ad esempio assistiamo a dei salti temporali in cui ritroviamo cambiamenti drastici dei personaggi. È stata una bella occasione per far vedere come un essere umano cambia di fronte a degli avvenimenti esterni e cosa può succedere quando certe cose lo colpiscono.
Com’è Massimiliano nella vita reale?
Che domandona! Mi trovo in un periodo in cui mi sto ritrovando a fare mille domande. È un momento in cui non riesco a percepirmi e non so dare una risposta netta. Sicuramente, guardando indietro, mi ritengo una persona che ha tanta voglia di lavorare sodo e mi piace tanto questo aspetto. Se dovessi definire Massimiliano direi che è una persona che cerca di impegnarsi tanto, a volte anche in maniera ossessiva e perfezionista in quello che fa e ritengo che non sia sempre un pregio perché si rischia davvero di perderci la salute! (ride ndr.)
Durante questa stagione di “Mare Fuori” abbiamo notato alcuni richiami cinematografici. Quali sono stati i modelli cinematografici a cui ti sei ispirato per Carmine?
Il Carmine di questa stagione lo ritengo il lavoro più maturo che abbia mai fatto. Ci sono stati dei riferimenti a “Shining” e a “Psycho” e da questi film ho cercato di attingere per utilizzare qualche loro intuizione, ma con tutta l’umiltà possibile e non con la presunzione di poter ripetere l’interpretazione di Jack Nicholson. C’erano degli aspetti che mi attraevano da diversi personaggi, come il loro modo di perdere il controllo o il modo di certi attori di gestire certe sfere emotive e, senza volerlo, le ho trasmesse al mio personaggio.
Il Massimiliano di tutti i giorni, invece, che riferimenti cinematografici ha?
Non credo di avere dei riferimenti precisi, perché variano molto in base ai personaggi che studio e le sfere emotive alle quali mi approccio. Ho vissuto il periodo Marlon Brandon, seguito da quello dedicato a Jack Nicholson per poi arrivare ad Al Pacino. Mi piacciono gli attori che si trasformano, che interpretano personaggi unici, che fanno emergere la loro firma e che non potrebbe interpretare nessun altro. Quando questo accade è un po’ come quando si ammira un quadro dei grandi pittori.
Noi siamo sempre alla ricerca di aneddoti dal set. Ce n’è uno che vorresti condividere con i nostri lettori?
Sicuramente quello a cui sono più legato risale all’ultimo mese di riprese. Ero molto stanco, sotto tutti i punti di vista, e passavo moltissimo tempo con Nicolas Maupas e Valentina Romani. In quel periodo c’è stato il mio compleanno, loro due sono stati testimoni del mio periodo e con loro mi confidavo molto. Il giorno del mio compleanno mi fecero due regali con un bigliettino con scritto: “Massi, faremo sempre il tifo per la tua parte di luce”. Quel messaggio mi ha ispirato, ridandomi tanta energia e tanta carica.
Si sa qualcosa riguardo la terza stagione?
Non ti so dare una risposta, non so niente a riguardo. Ho letto che ci sono state notizie a riguardo anche se a noi non è stato ancora comunicato nulla riguardo la trama e il destino dei personaggi. Noi ovviamente speriamo di sì, anche perché siamo molto affezionati a questo progetto e speriamo in un suo continuo decoroso.
Nella tua carriera non c’è soltanto “Mare Fuori”. Dove ti vedremo prossimamente?
Ho appena finito di girare un film diretto da Nicola Prosatore, con Antonia Truppo, Lello Arena e Giovanni Esposito. È un film per il cinema dove interpreto un ruolo molto diverso rispetto a Carmine ed è un personaggio molto disturbato da un certo punto di vista e uscirà al cinema a data da destinarsi. È un film indipendente, prodotto da Rai Cinema e Briciola Film.
Quali sono i ruoli che ti stimolano?
Sicuramente amo raccontare sfere emotive particolari, come personaggi affetti da vari tipi di disturbi e mi piacerebbe esplorare sfere emotive di personaggi transgender. Mi permettono di trasformarmi e realizzare qualcosa di diverso rispetto a quello che sono io. Mi piace entrare all’interno di un processo creativo per tanto tempo, poter portare qualcosa di ben definito e mi auguro di riuscire a mettere una mia firma.
Come vedi da giovane attore il cinema e la serialità italiana dei nostri giorni?
Ci sto ragionando davvero tanto. Credo molto nello studio della storia. Per me è importante perché se si riesce ad avere un occhio critico su ciò che è accaduto in passato c’è la possibilità di avere delle intuizioni su ciò che potrebbe accadere in futuro. Ritengo che il cinema di oggi stia iniziando a vivere un periodo molto fortunato sia per noi della nuova generazione sia in generale per l’aspetto artistico del cinema. Veniamo da un periodo più spento rispetto al passato e credo che da un lato ci sia ancora molta confusione. Si sente l’impulso di raccontare certi tipi di storie, come quelle di giovani ragazzi, e si sta indagando a fondo per capire cosa raccontare. Dall’altro lato trovo che questo nuovo entusiasmo e nuova preparazione stia gettando le basi per un periodo luminosissimo per cinema e televisione italiana. Sono proprio sicuro di questo. Se guardiamo indietro nel tempo è successo proprio così, dopo periodi molto bui, come ad esempio le guerre, ci sono stati degli impulsi creativi molto forti che hanno segnato la rinascita del cinema e dell’arte italiana. Bisogna seguire quest’onda perché secondo me è l’onda giusta.
Ci sono dei registi con cui ti piacerebbe lavorare in futuro?
Ti dico quattro nomi: Pietro Marcello, Giorgio Dritti, Ludovico di Martino e Simone Bozzelli. Mi piacerebbe molto lavorare con loro.
Questo portale si chiama “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa cercare di percepire quell’urlo che certi progetti, certe storie provano a raccontare attraverso le immagini che vediamo sullo schermo. Un’analisi sul bisogno di ciò che vuole raccontare un determinato progetto, come viene comunicato e io come lo percepisco. Quella è la voce dello schermo.
Di Francesco Sciortino