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Intervista a Ninni Bruschetta: “La qualità delle nostre serie tv è aumentata. ‘Boris’ è ancora vivo dopo 10 anni” L’attore messinese, in tv con “Non ho niente da perdere”, ripercorre la sua carriera e analizza alcuni aspetti di tv, cinema e teatro di oggi.

Gen 15, 2019

Va in onda stasera, su Rai Uno, “Non ho niente da perdere”, film tv firmato da Fabrizio Costa e con protagonisti Carolina Crescentini, Edoardo Pesce e Ninni Bruschetta. È stato proprio Bruschetta a presentarci il personaggio che interpreta. Ma non è finita qui. L’attore messinese ha anticipato che presto sarà protagonista de “La stagione della caccia”, un film tv tratto da un romanzo di Andrea Camilleri, ha presentato il suo spettacolo teatrale e ricordato i tantissimi ruoli di prestigio che ha interpretato, come in “Boris”, ne “I Cento Passi”, in “Quo Vado?”, ne “L’uomo in più” e molto altro ancora…

Salve Ninni, benvenuto su “La voce dello schermo”.  Martedì 15 gennaio va in onda “Non ho niente da perdere”, presentaci un po’ questo film e il personaggio che interpreti…

“Non ho niente da perdere” è un film tv molto carino. Ricorda un po’ “La casa di carta” ed è un prodotto molto fresco e giovane. Interpreto un personaggio comico e divertente: un colonnello dell’aereonautica militare che interviene in un mega rapimento che nasconderà tantissimi intrighi. Mi sono divertito molto e soprattutto ho girato per la prima volta una scena in elicottero ed è stato molto entusiasmante.

Dove ti vedremo prossimamente? Hai qualcosa da presentarci?

Presto mi vedrete in un altro film tv diretto da Rohan Johnson, il regista de “I delitti del BarLume”, ed è tratto da un romanzo di Camilleri che si intitola “La stagione della caccia”. Il protagonista è Francesco Scianna e interpreto Padre Macaluso, un prete particolare e un tipico personaggio “camilleriano”. È un prete molto presente nella vita della città, nella moralizzazione ma, allo stesso tempo, anche molto nervoso e perde spesso la pazienza. Mi ha fatto sorridere interpretarlo e mi ha affascinato molto. Inoltre sto preparando uno spettacolo teatrale che si intitola “Il mio nome è Caino”, dove recito assieme a Cettina Donato, che suona il pianoforte.

Ultimamente hai ritrovato Mattia Torre ne “La linea verticale”. Com’è stato lavorare nuovamente insieme dopo “Boris”?

Lavorare con Mattia è sempre un immenso piacere perché è un genio del nostro lavoro e del nostro settore. Sono stato onoratissimo perché mi ha comunicato di questo ruolo quando il progetto era ancora in fase iniziale e l’ha scritto praticamente per me. Oltre a questi aspetti, il periodo di lavorazione è stato molto speciale perché Mattia, oltre che un immenso regista, è un compagno di lavoro eccezionale e di post lavoro. Un po’ come avviene nel teatro, a lui piace andare a cena con tutti gli attori e pretende una memoria “marcia”, come la ama definire lui ironicamente, che significa forte e che si adatti ai tempi che tv e cinema ci consentono.

Un po’ di nostalgia?

La nostalgia di “Boris” non si sente tanto perché non ci siamo mai persi e spesso, a noi del gruppo, capita di lavorare insieme. Ho ritrovato Carolina, Paolo Calabresi e Giorgio Tirabassi. Soltanto con Francesco Pannofino non abbiamo più realizzato tantissimi lavori, ma riusciamo comunque a ritrovarci. Poi “Boris” è ancora vivo nella mente dei giovani e dei fan. Lo scorso anno sono stati celebrati i dieci anni a Firenze ed è grazie a momenti come questo che la nostalgia non si fa sentire tanto.

Qualche anno fa scrivesti e dichiarasti che “’Boris’ non aveva insegnato niente dal punto di vista della qualità in tv”. Oggi affermeresti la stessa cosa o hai notato notevoli miglioramenti riguardo la serialità nostrana?

Adesso no. Direi che il vento sta cambiando e sono anche molto contento di ciò. Dopo “Boris” c’è stato un mutamento e, non solo i prodotti di Sky e Netflix, ma anche le reti generaliste sono riuscite a realizzare progetti molto interessanti. C’è una maggiore attenzione per la qualità e soprattutto nei riguardi dei giovani, che è un aspetto fondamentale.

Tu hai fatto tanto cinema e tanta tv. Quali sono le esperienze a cui sei più legato e perché?

Sicuramente Borsellino di Tavarelli, dove interpretavo Ninni Cassarà e Borsellino è un personaggio meraviglioso. Poi sono molto legato a “Fuoriclasse” perché sono stati quattro anni meravigliosi a Torino. Non posso non citare i grandi film di cui ho fatto parte come “L’uomo in più” di Sorrentino, “I Cento Passi” di Marco Tullio Giordana, “La trattativa” di Sabina Guzzanti e a molti altri.

Hai recitato anche in “Quo Vado?”. Che ricordi hai di questa esperienza?

Il mio ricordo principale va alla genialità di Checco Zalone. Ritengo che sia un artista pazzesco, oltre alla sua comicità che fa morire dalle risate. È stato un bell’incontro anche con Gennaro Nunziante, che ho ritrovato in altri due film: “Come diventare grandi nonostante i genitori” e ne “Il Vegetale” con Fabio Rovazzi. Si lavora benissimo con loro e sono belle produzioni.

Qualche anno fa hai realizzato “La prova”. Com’è stato per te cimentarsi dietro la macchina da presa?

E’ un documentario che ancora gira e che farà un’altra uscita tra un mese circa. È un grande omaggio a Shakespeare perché la vera prova non è quella che viene filmata, bensì la scommessa di girare tutto il materiale delle prove, formato da circa 400 ore, e da lì trarre un film di 82 minuti che racconta la storia senza seguire l’ordine spazio temporale che si usa al cinema, ma soltanto seguendo il testo. Chiaramente concentrati in 82 minuti diventa una bomba. Dico sempre scherzando che è un western per ciò che avviene.

Tu ami molto il teatro e ti sei battuto tanto per lui. Quali sono gli aspetti che ti legano maggiormente a questo mondo?

L’amore per il teatro è come l’amore che si prova per la mamma. Il teatro è la mamma di tutte le cose! Del cinema, della televisione e della rappresentazione in generale. Si viene da lì e non ci si stacca. Poi magari c’è qualcuno che lo abbandona perché il cinema e la televisione sono più ricchi. Però anche i registi e gli attori più quotati tornano a fare teatro perché è come una cura rigenerante per chi fa il nostro lavoro. È come se iniettasse un’energia che serve per fare altri lavori. Mette alla prova il tuo corpo, la tua anima e la tua mente. È molto importante non abbandonarlo mai secondo me.

Cosa pensi si debba fare per far recuperare alla gente l’amore per il teatro?

Assolutamente niente perché, come diceva Fassbinder: “il teatro è in fin di vita, ma lo è sempre stato”. Nel senso che il teatro ha un bacino di utenza notevolmente piccolo, ogni tanto ha delle piccole crisi, poi si riprende. Ogni tanto La vendita dei biglietti crolla, poi si riprende. Poi alla fine lo zoccolo duro delle persone che vanno a teatro è sempre quello: da un lato è una parte sempre colta della popolazione e dall’altro è una parte della popolazione che, non solo ama il contatto diretto con lo spettacolo, ma che apprezza la frequentazione della ritualità. Perché entrare a teatro non è la stessa cosa di accendere un computer, la televisione o anche andare al cinema. È un qualcosa di più importante e più mistico, come quando il nonno racconta una fiaba ai bambini.

Hai scritto anche due libri sul mestiere dell’attore: Il mestiere dell’attore e Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista. Quali sono secondo te gli aspetti più e quelli meno piacevoli della vita da attore?

Non riesco a trovare quelli meno piacevoli. Ritengo che sia un lavoro la cui bellezza si caratterizza dalla possibilità spirituale di poter vivere tante vite, che è ciò che ognuno di noi desidera in fondo.

Sei siciliano. Che rapporto hai con la tua terra?

Io la Sicilia non l’ho mai abbandonata e ho sempre lavorato nella mia terra, sia dirigendo dei teatri, sia lavorando negli stabili di Catania, di Messina, di Palermo. Poi il mercato siciliano è molto importante sia dal punto di vista cinematografico sia televisivo. Moltissime fiction e film si girano lì. Ovviamente la struttura istituzionale e politica siciliana è complessa, come è complessa la Sicilia in generale, e ogni tanto ci sono delle crisi evidenti dalle quali non si esce rapidamente perché non si consultano gli addetti ai lavori, che siamo noi e che sappiamo come si gestisce il mondo del teatro. Però questo poi passa e gli amministratori capiscono. Questo non è un momento particolarmente roseo per il teatro siciliano e ci sono state troppe crisi. Io penso che se continuiamo a fare teatro come abbiamo sempre fatto sistemeremo delle situazioni che in questo momento non sono molto chiare.

Questo portale si chiama “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Significa tanto e mi viene in mente la voce del cinema e, in particolare, è il rumore del cinema all’aperto da lontano. Quella è secondo me la voce dello schermo e del cinema: quando, mentre cammini sulla spiaggia, senti da lontano che c’è un film all’aperto e ti dà l’idea dell’estate. Un po’ come nei cinema all’aperto e nei drive in di una volta.

Di Francesco Sciortino

 

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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