La voce dello schermo ha ritrovato con piacere Giorgio Marchesi, da mercoledì 6 novembre in tv con il medical drama “Oltre la soglia”. L’attore ci ha presentato l’attento e scrupoloso PM Piergiorgio Di Muro, personaggio che proverà sentimenti contrastanti nei confronti di Tosca Navarro (Gabriella Pession), primario di un reparto che si occupa della cura degli adolescenti con problemi psichici. Ma non è finita qui, Giorgio si è inoltre soffermato sulla prossima stagione de “I Medici”, dove interpreta Giacomo Spinelli, ci ha raccontato della sua prossima esperienza teatrale in “7 anni” e ha svelato particolari aneddoti dal set di “Mine Vaganti” di Ferzan Özpetek.
Salve Giorgio, bentornato su “La voce dello schermo”. Dal 6 novembre ti vedremo nel medical drama firmato Mediaset “Oltre la soglia”. Presentaci un po’ la serie e cosa ti è piaciuto del tuo personaggio?
Salve a tutti. Il mio personaggio è un pubblico ministero che avrà a che fare con il reparto di psichiatria diretto da Tosca Navarro, perché tra i ragazzi ci sono alcuni che commettono reati. Lui di solito è scettico e rigido nel suo lavoro perché crede che, come spesso accade nella realtà, la malattia mentale può essere una scusa per non pagare i debiti con la giustizia, sostiene che certi soggetti siano irrecuperabili e che sia più importante preoccuparsi maggiormente di chi è vittima di reati. Tosca invece vuole aiutare e recuperare a tutti i costi i ragazzi con problemi psichici in difficoltà e crede che siano sempre delle vittime. I due si scontreranno ma, nonostante ciò, nascerà un’attrazione irresistibile tra loro.
Cosa ti è piaciuto del tuo personaggio?
Mi è piaciuto il rapporto che si instaura tra i due perché si basa da un lato sulla repulsione e dall’altro su una fortissima attrazione. Si racconta un modo di incontrarsi diverso. Il cervello dice una cosa e il cuore un’altra e sono divisi da queste due forze contrastanti. Quando ho sostenuto il provino mi sono divertito molto. Si è giocato molto sull’ironia e ho capito che mi sarebbe piaciuto molto far parte di questo progetto.
Perché pensi che sia importante per i telespettatori un prodotto come “Oltre la soglia”?
È una serie molto importante, non solo per i ragazzi che la vedono perché parla di dei disturbi psicologici legati all’adolescenza e al post adolescenza che non sono patologie ma piccoli sentori di malessere. Ma sento di consigliarlo soprattutto agli adulti e a chi ha a che fare con i ragazzi perché può essere utile capire che esistono questi problemi, che spesso vengono ignorati in casa, ma che sono più diffusi di quanto si pensi. Credo che se si riesce ad agire subito su piccoli malesseri e disturbi si riescono a evitare problemi più grandi.
Dal 13 novembre sarai in scena al Teatro della Cometa di Roma con “7 anni”. Parlaci un po’ di questo spettacolo…
È uno spettacolo a cui tengo tanto perché è molto semplice dal punto di vista della scrittura, ma con delle dinamiche molto comuni e familiari. È ambientato in una sorta di ufficio e lo trovo molto moderno anche come scelta di recitazione e rappresentazione. Racconta di quattro soci che hanno un problema da risolvere con la giustizia e decidono di far pagare soltanto uno di loro per salvare l’azienda. Ovviamente questa scelta, che sarà decisa da un mediatore, porterà a delle conseguenze e a degli attriti. È un po’ ciò che accade tra fratelli che devono contendersi un’eredità, che vanno d’accordo per anni e poi non si vedono più per tutta la vita. La trama è molto accattivante e recitata in maniera veritiera. Chi l’ha visto lo scorso anno si è immedesimato e ne era entusiasta. Speriamo di entusiasmare anche il pubblico del Cometa.
Presto ti vedremo nella terza stagione de “I Medici”. Interpreti un personaggio complesso, Giacomo Spinelli. Cosa ti ha affascinato dell’interpretarlo?
Il personaggio è molto di sostegno e non grandissimo, ma mi ha divertito molto calarmi in un periodo storico come quello e girare in costume. Mi sono documentato su quell’epoca è mi ha colpito che a quei tempi la politica veniva fatta un po’ come oggi, l’interesse infatti non era mai quello comune ma quello della propria famiglia o dei conoscenti.
Cosa ti ha colpito di questa grande produzione?
È stato molto divertente lavorare in inglese e molto appagante far parte di una produzione dove costumi, attenzione ai dettagli e scenografie sono molto importanti. I paesaggi e la storia della Toscana hanno fatto il resto.
In diverse interviste non hai mai nascosto di essere affascinato dal mondo giornalistico. Come reputi il giornalismo di oggi?
Come tanti lavori che hanno subito il prepotente avvento di internet, credo sia un settore un po’ in crisi. Penso che per un giornalista sia difficile al giorno d’oggi emergere. Mi dispiace un po’ la semplificazione a volte esagerata della lingua italiana, la mancata argomentazione e il poco approfondimento delle notizie. Siamo bombardati da una marea di news inutili, spesso la stampa dà più rilievo a quelle di poca importanza e toglie spazio agli approfondimenti e alle spiegazioni delle dinamiche fondamentali a livello politico, sociale, economico e culturale.
Che domanda faresti a Giorgio Marchesi e che risposta daresti?
Gli chiederei: “Che cosa stai cercando di fare in questo periodo dal punto di vista artistico e nella vita?” Lui risponderebbe che sta ricominciando a variare, dal momento che sta tornando a teatro e sente il desiderio di sentirsi più libero rispetto a prima. Fare l’attore per me è fondamentale, quello che amo e che mi ha reso felice ma, ovviamente, oltre agli aspetti lavorativi è giusto anche dedicarsi e apprezzare altri particolari della mia vita.
Tu hai fatto parte de “La stagione della caccia” e hai più volte confidato la tua ammirazione per Camilleri, venuto a mancare qualche mese fa. Cosa ha significato per te far parte di questa esperienza?
Quando mi è capitata questa opportunità l’ho colta al volo per la mia grande stima verso Camilleri. Sono stato molto felice e orgoglioso, anche perché è stata molto apprezzata dal pubblico. È veramente un bellissimo romanzo, dove il giallo rimane quasi un aspetto secondario. Erano molto interessanti le dinamiche familiari e mi è piaciuto raccontare di quest’uomo che arrivava in Sicilia con gli occhi di una persona che vedeva un mondo nuovo. Parlando del 1800 è interessante immaginare quello che significava per un uomo del Piemonte arrivare sull’isola dal punto di vista paesaggistico, culinario e culturale. C’è una battuta che abbiamo aggiunto durante una passeggiata in cui il mio personaggio dice in piemontese: “Questa è una terra meravigliosa, è una terra straordinaria”, che testimonia la sorpresa nell’ammirare una terra come la Sicilia.
Hai avuto modo di conoscere Camilleri?
Purtroppo no, ma attraverso i racconti delle persone era come se lo conoscessi. Adoravo sentirlo parlare di qualsiasi cosa. Mi ricordo le sue interviste in radio, era sempre un piacere ascoltarlo e usava un italiano straordinariamente bello e ricco. Inserisco Camilleri tra i grandi che rimangono più nella tua mente e nel tuo cuore oltre che nel curriculum.
Hai lavorato con grandissimi registi come Özpetek, Giordana, Sollima e tanti altri. Hai qualche aneddoto curioso dal set con questi registi che vorresti condividere con i lettori?
Ferzan Özpetek, con cui porteremo in scena “Mine Vaganti” a teatro da gennaio, durante le riprese era sempre molto divertente e non ci lasciava mai andare via da Lecce. Ci voleva tutti lì perché non sapeva mai cosa sarebbe potuto accadere. Devo confessare una cosa: credo per sbaglio di avere ferito drammaticamente Carolina Crescentini durante mentre giravamo “Mine Vaganti”! Durante la scena della colluttazione con la pistola, io per sbaglio le diedi una spallata sul viso. C’è stato un attimo di gelo sul set, poi lei è stata gentilissima e sorridendo ha fatto cenno di andare avanti ma io ero mortificato. Poi il tutto è diventato una risata e per fortuna non era nulla di grave. Altro momento significativo durante quella scena è stato quando ci siamo trovati su una scalinata con un forte vento ed eravamo circondati dal vuoto. Abbiamo girato come se nulla fosse, ma avevamo le gambe che tremavano per la paura di cadere nel vuoto.
Foto di Manuela Giusto.
Di Francesco Sciortino