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Intervista ad Antonia Truppo: “Dai due David di Donatello a ‘Mare Fuori’. Ho voglia di dare sempre di più alla recitazione” L’attrice, due volte vincitrice del David di Donatello per le interpretazioni in “Lo Chiamavano Jeeg Robot” e in “Indivisibili” e in queste settimane nelle nuove puntate di “Mare Fuori”, si racconta su “La voce dello schermo”.

Apr 23, 2025
Foto di Valentina Ciampi

Antonia Truppo è indubbiamente una delle attrici più considerate del panorama italiano. La sua carriera parla da sola: una parte importante della propria vita lavorativa dedicata al teatro con grandi come Carlo Cecchi, Carlo Croccolo e Mario Martone; Due David di Donatello per interpretazioni cinematografiche che hanno lasciato il segno come quella di Nunzia Lo Cosimo in “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti e quella di Titti in “Indivisibili” di Edoardo De Angelis. Recentemente l’abbiamo vista in film come “Iddu – L’ultimo Padrino”, “Il treno dei bambini”, “Piano Piano”, “Non sono quello che sono” e tantissimi prodotti cinematografici di successo. In televisione è Maria, la mamma di Rosa Ricci nell’amatissima “Mare Fuori”, serie diretta da quest’anno da Ludovico Di Martino e prodotta da Picomedia di Roberto Sessa e da RaiFiction. Nonostante vanti già uno straordinario percorso professionale, Antonia dimostra un’instancabile voglia di continuare a stupire sempre di più tra teatro, cinema e televisione, caratteristica che contraddistingue i grandi della recitazione.
Abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo”, proprio Antonia Truppo che ci ha raccontato cosa abbia significato per lei entrare a far parte della serie più seguita d’Italia e interpretare la Mamma di Rosa Ricci, un personaggio che rappresenta un’importante seconda possibilità per i giovani che intraprendono strade sbagliate. L’attrice ha, inoltre, ripercorso la sua brillante carriera, ricordando le recenti esperienze in “Iddu – L’ultimo Padrino”, “Il Treno dei bambini” e “Piano Piano” fino a ricordare le emozioni dei due David vinti. A voi…

Foto di Valentina Ciampi

Salve Antonia, benvenuta su “La voce dello schermo”. Ti stiamo vedendo nella quinta stagione di “Mare Fuori”, nei panni di Maria, la mamma di Rosa Ricci. Cosa ami della serie e del tuo personaggio?

Salve a tutti, grazie. Riguardo la serie, mi è piaciuto esplorare i motivi che stanno dietro al successo di questo prodotto e mi ha incuriosito sin da subito che il pubblico lo amasse molto. È un esperimento molto riuscito, ho cercato di inserirmi lasciandomi guidare da ciò che era stato realizzato prima del mio ingresso. Va a toccare corde sensibili, discostandosi dal luogo di partenza, quello dell’IPM, per dare vita a una culla di sentimenti. Mi affascinava parecchio l’idea di interpretare un personaggio positivo, la cui vita viene in qualche modo interrotta, e che deve confrontarsi con la famiglia dalla quale proviene.

Maria è una madre che ha provato a salvare i figli dal mondo criminale. Quanto è stato importante per te raccontare una tematica del genere?

È una donna che ci dimostra, nella sua semplicità e nel suo essere madre, la propria voglia di agire e di tirare fuori il lato buono dai figli per provare a salvarli. La storia ci insegna che intraprendere strade sbagliate non porta a nulla di buono.

Foto di scena di Sabrina Cirillo

La serie mostra come le colpe dei genitori ricadano sui figli. Quando è uno dei due genitori a rappresentare il problema cosa accade?

Come raccontato nella serie, accade che uno prevarica sull’altro e il buono è costretto a scappare da questa situazione. Don Salvatore è stato un padre che è andato fino in fondo nel suo progetto, scavalcando tutto e tutti. Simbolicamente il personaggio di Maria rappresenta una seconda occasione che dà la spinta per ricominciare.

Vanti una carriera fantastica, sei un’attrice straordinaria e con due David Di Donatello vinti. Cosa ti ha attratto di una serie tanto amata dal pubblico?

Mi ha affascinato il ruolo e sono sempre alla ricerca di progetti che mi piacciono. Sentivo che questa occasione potesse arricchirmi sotto tanti punti di vista e magari avvicinarmi ad altri progetti televisivi. Ho fatto tanti lavori cinematografici, ma forse non sono bastati per far parte di altre serie tv. 

Come mai, secondo te, non è bastata una carriera incredibile come la tua per ammirare il tuo talento anche in televisione?

Onestamente non saprei, mi piacerebbe conoscere la risposta a questa domanda. Non so se esiste una formula e non l’ho ancora capita. Ho pensato di avere dimostrato tanto negli anni e “Mare Fuori” è stata un’occasione per esplorare anche progetti che mi piacciono e che mi divertono.

Tra i tuoi lavori recenti ci sono “Iddu – L’ultimo padrino” e “Il Treno dei bambini”. Che esperienze sono state per te?

Sono stati due set molto belli, con vicende ispirate a storie vere e che comportavano una ricerca maggiore della verità. In ‘Iddu’ ho interpretato un ruolo stupendo, la cifra del film ha portato tutti i personaggi all’interno di un gioco molto complicato, ma molto divertente, nel rappresentare maschere credibili nella realtà. È stata un’esperienza difficile ma molto stimolante per un attore. Mi piacerebbe fare dieci film l’anno come questo proprio per lo stile recitativo che possiede. “Il treno dei bambini” racconta una storia bellissima, che mi ha colpito tantissimo e ho condiviso ogni parola ed emozione di questo personaggio, quindi, è stato semplice entrare nei suoi panni, perché rifletteva il mio modo di pensare.

Le esperienze della tua carriera sono tantissime, molto differenti tra loro, dalla commedia al dramma. Ci sono degli incontri artistici che hanno segnato positivamente il tuo percorso?

Il primo incontro fu con dei giovani che provenivano dallo Stabile di Genova, che ho conosciuto a Roma e con i quali condividevo il desiderio e l’ideale di creare un nostro teatro. In seguito, ho conosciuto Carlo Cecchi, che è stato per me un grande maestro, con il quale sono stata in tournée per quindici anni e nei suoi lavori ho riconosciuto un teatro che mi apparteneva e un linguaggio che faceva per me. È stato un periodo faticosissimo ma molto importante. Mi ha permesso di vestire i panni di personaggi superlativi, di confrontarmi con grandissimi testi e di mettermi profondamente alla prova.

In che modo ha rappresentato una sfida stimolante per te?

Entrare in contatto con Molière, Pirandello e Shakespeare ti trasmette l’attitudine a leggere in un certo modo, a cercare sottotesti, a relazionarti con emozioni e con lo spazio. Il teatro è questo e devi farlo tendendo un orecchio sempre al pubblico, che è presente anche al cinema ma non lo vedi e non lo percepisci. Queste attitudini e abitudini mi hanno regalato un grande baule dal quale attingere per le atre esperienze. Sono stati circa 20 anni di tournée che mi hanno arricchito immensamente.

Hai parlato di un teatro che ti apparteneva. Cosa significa?

Significa che mette in pratica una grande verità assoluta, quella del ‘qui e ora’, partendo dal fatto che l’attore debba essere dotato di una tecnica che lo supporti, che lo faccia stare al centro di uno spazio e con un senso, tenendo presente del pubblico a cui ti devi rivolgere. È stato come trovare un habitat che mi facesse capire il perché abbia cercato questo nella mia vita. Nel teatro sono sempre stata selettiva, anche da giovane, perché soffrire su un palco credo sia una delle cose più brutte che possa capitarmi nel mio lavoro. Mentre il set finisce e non puoi conoscere immediatamente la risposta di chi vede il film; a teatro attendi tutto il giorno un evento e se il confronto con il pubblico è mortificante diventa poco gratificante.

“Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti ti ha permesso di vincere un David. Che esperienza è stata per te?

In quel periodo ero una teatrante assoluta e, a causa delle lunghe tournée avevo rifiutato alcuni progetti perché non avrei potuto conciliare tutto. Il cinema mi poteva concedere una libertà maggiore e la possibilità di fare diverse scene. Un giorno mi chiamò il casting director Francesco Vedovati che mi parlò di questo progetto dicendomi: “è un personaggio piccolo, ma so che tu lo devi fare e ti dico anche che il regista non ti vuole”. Rimasi un po’ perplessa, ma mi convinsi ad andare. In seguito, capii che non era Gabriele a non volermi, ma cercavano caratteristiche differenti nel personaggio.

Cosa accadde durante il provino?

Quando sono entrata dalla porta, Gabriele mi disse: “Ancora tu!” (ride ndr.). Poi abbiamo fatto un’improvvisazione, era un personaggio che non aveva tante battute, dovevamo rendere il tono fumettistico e non era semplice. Alla fine, è andata bene e mi scelse, il copione era molto bello ma non credevo che il mio personaggio potesse arrivare così tanto, avendo a disposizione circa quattro pose. “Lo Chiamavano Jeeg Robot” rientra tra quei film che nel momento in cui lo guardi rimani stupito per quanto realizzato.

Foto di Valentina Ciampi

Da qui nacque il primo David di Donatello…

Sì, ero incredula. Non conoscevo ancora nemmeno il regolamento dei David e non avrei mai pensato a un simile risultato.

Qual è, secondo te, la forza di Gabriele Mainetti?

Credo che sia un regista che possiede un punto di vista molto originale delle storie che racconta. Ha una sua visione molto concreta e allo stesso tempo surreale sulla vita. Il suo cinema è a tratti espressionista e con delle maschere. È molto evocativo e offre un immaginario molto bello.

“Indivisibili” di Edoardo De Angelis, invece, cosa ha rappresentato?

È stata una delle esperienze lavorative più belle della mia vita e avevo già apprezzato tanto i film che Edoardo aveva realizzato in precedenza, tra cui “Mozzarella Stories”. Con lui è scoccata sin da subito la scintilla lavorativa e si è creata una grande complicità. Inizialmente pensavo che il film fosse una commedia e mi resi conto di essermi sbagliata soltanto successivamente, ovvero durante il provino con Marianna e Angela Fontana e dalle direttive di Edoardo. Giravo con un bambino di un mese e mezzo, ma ero talmente felice di interpretare Titti da non avvertire la fatica.

Cosa significa per un’attrice vincere due David?

È sicuramente molto gratificante e bello, in più sono arrivati nel momento in cui sono nati i miei due figli, avendo entrambi circa un anno di differenza.

Un’altra esperienza a cui tieni particolarmente è “Piano Piano”, che ti ha visto cimentarti anche nella sceneggiatura…

Sì, ha rappresentato una montagna da scalare, come se fosse nato un terzo figlio. Quando io e Nicola (Prosatore ndr.), il mio compagno, ci siamo conosciuti ci siamo raccontati una parte di vita e realizzare questo film rappresentava per lui una sorta di trasposizione da un’età e da un’epoca a un’altra. Scrivere mi ha divertito ed è un’esperienza che rifarò, perché mi piace molto. Dopo aver visto il film, mi sono resa conto che il risultato era ancora più sorprendente rispetto a come l’avevo immaginato. Fare tutto da soli, dal momento che Nicola ha anche prodotto “Piano Piano”, è stata un’impresa ardua e non facile, ma ci ha regalato un’enorme soddisfazione.

Se fossi una giornalista che domanda faresti ad Antonia?

Forse le chiederei: ‘Come mai il ruolo della vita non è ancora arrivato?’ (ride ndr.). Risponderebbe che non è colpa sua.

Hai regalato interpretazioni memorabili, hai vinto due David di Donatello, come mai pensi che il ruolo della vita non sia ancora arrivato?

Non so, forse perché ho voglia di dare sempre di più a questo lavoro e sto vivendo un periodo della mia vita in cui mi ritengo cambiata. Mi farei questa domanda proprio perché oggi mi sento all’interno di una dimensione che mi consente di prendere meno sul serio tante cose.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

È una suggestione molto bella, mi piace vedere delle scene senza audio perché l’immagine parla e ti mostra comunque qualcosa. Togliendo il sonoro, mi rendo conto se una cosa arrivi o no. La voce dello schermo è proprio questo: vedere cosa arriva tramite le immagini.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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