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C’era Una Volta A… Hollywood: Recensione Tra omaggi, grande cinema e qualche intoppo.

Set 23, 2019

Approda finalmente nelle sale il 18 settembre 2019 il nono film di Quentin Tarantino C’era Una Volta… A Hollywood, dividendo pubblico e critica fin dal primo istante. C’è chi già lo definisce il suo miglior lavoro e chi invece ha molti dubbi a riguardo, dichiarandolo un fallimento su più fronti. 

Ma andiamo con ordine: C’era Una Volta… A Hollywood è la storia di Rick Dalton (Leonardo DiCaprio), un famoso attore negli anni ‘60 particolarmente impegnato nel genere western e la sua controfigura Cliff Booth (Brad Pitt), entrambi intenti a rimanere sulla cresta dell’onda della golden age hollywoodiana nella quale Sharon Tate (Margot Robbie) avrà un ruolo particolare. 

Ci sarebbero davvero tantissime cose da dire su questa pellicola. Si potrebbe discutere per ore su ogni singolo dettaglio poiché c’è talmente tanta storia dietro ognuna delle componenti che non basterebbero nemmeno le 2 ore e 40 minuti di run time per esaurire gli argomenti. Ma siccome a tutto c’è un limite, noi de La Voce Dello Schermo abbiamo deciso di stilare una classifica più o meno concisa di cosa ci è piaciuto e cosa no. 

Non sempre i film raccontano una cosa precisa, di un singolo evento o di un singolo personaggio, ma sono piuttosto un insieme di eventi, persone e cose che si racchiude in un periodo storico, in un luogo. C’era Una Volta… A Hollywood è quel tipo di film. La sensazione che vi darà nella sala è quella di un’uscita con gli amici, dove ci sono momenti in cui succedono tante cose, ma anche tanti momenti in cui semplicemente si chiacchiera o si sta in silenzio. Oggigiorno siamo abituati a ritmi serrati, film in cui ogni pochi minuti deve arrivare un twist che ci tenga incollati allo schermo, ecco, questo film non segue per nulla questi parametri, anzi si prende il suo tempo per stabilire luoghi e tempi, per descrivere situazioni, farti vivere con i personaggi, non sembrando un prodotto del 2019 ma piuttosto rifacendosi, anche in questo aspetto, a pellicole d’altra annata. 

Partiamo dunque con gli aspetti che più ci sono piaciuti!

LA LA LAND MACHINE

Anche se non si è vissuto il periodo storico in questione, ovvero gli anni ‘60, il sentimento che pervade lo spettatore esplorando le ambientazioni di questa storia è un misto tra nostalgia e stupore. 

Il clima è energico e allo stesso tempo rilassato, i colori guizzano sullo schermo, le musiche ti pervadono il corpo. Tarantino non ha mai fatto segreto del suo sviscerato amore per la settima arte e questa è una dichiarazione d’amore bella e buona, a partire dal titolo che rimanda fin da subito a film come C’era Una Volta Il West e C’era Una Volta In America. Il western è il suo genere preferito, quindi i rimandi sono continui, a partire dalla figura di Cliff Booth, che se spogliato delle sue caratteristiche moderne non è altro che un cowboy d’altri tempi: dal suo modo di vivere, di vestire, alla sua macchina (il suo cavallo?), alla sua aura cool e sicura di sé. 

La prima metà del film è puro esercizio di forma. Troviamo tutti i tratti distintivi della regia di Tarantino venendo sommersi da tecnicismi, riferimenti al cinema e ampio uso del meta-cinema che trasporta lo spettatore nei dietro le quinte dei set cinematografici, mostrandogli come vengono girate le scene, come sono composte le giornate degli attori a lavoro, seguendoli nei loro momenti di gloria e anche quelli di frustrazione. Per gli amanti di Hollywood vedere gli studios di quegli anni, i vecchi cinema, i drive in, è davvero magico. Los Angeles risplende e viene celebrata nelle scene in cui i protagonisti la navigano a bordo di una Cadillac del ‘66. Alcuni hanno trovato queste scene superflue, ma in realtà oltre ad essere visivamente perfette, rendono benissimo l’idea della vita a Los Angeles, che risulterebbe pressoché inverosimile senza le ore passate in macchina (anche negli anni ‘60!). 

Ci sono davvero tantissimi occhiolini e riferimenti a fatti di cronaca del tempo (come ad esempio l’aneddoto della moglie di Cliff, che potrebbe alludere alla tragedia dell’attrice Natalie Wood), a personaggi realmente esistiti, a grandi maestri del cinema, arrivando perfino a inserire il personaggio di DiCaprio all’interno di pellicole famosissime, continuamente intrecciando la nostra realtà con quella del film e creando una sorta di universo parallelo in cui la storia può essere riscritta. Per non parlare anche degli elementi autoreferenziali! Davvero fantastico. È decisamente un film che celebra Hollywood e ne esalta (forse troppo, a detta di alcuni) l’importanza e che vuole farsi guardare dalle persone che ne fanno parte. 

Se non avete familiarità con la regia di Tarantino e un po’ tutto quello che per anni è stato il suo universo cinematografico risulterà difficile apprezzare a fondo tutti i riferimenti a persone ed eventi esterni a questa storia. Ma non temete, arriverà presto un articolo con tutti i dettagli che potreste esservi persi! Nel frattempo date un’occhiata ai tratti distintivi del cinema di Tarantino

SQUADRA CHE VINCE NON SI CAMBIA

Non sarebbe un film di Tarantino se non ci fossero star di alto calibro nel cast, e C’era Una Volta non fa eccezione. L’accoppiata Pitt-DiCaprio è forse inaspettata ma più che vincente. La loro chimica è elettrizzante e le loro capacità attoriali elevano anche la più semplice delle scene. Alcune di esse non avrebbero funzionato con nomi di più basso rilievo, in particolare quella dove entrambi siedono insieme sul divano commentando un episodio televisivo con protagonista Rick. Anche Margot Robbie nei panni di Sharon Tate non delude. 

Disseminati durante tutto il film troviamo anche Al Pacino, Timothy Oliphant, Luke Perry, Michael Madsen, Zoe Bell, in ruoli più o meno rilevanti ma che suscitano nello spettatore consapevole del trascorso tarantiniano un’emozione particolare. È come se Tarantino avesse voluto celebrare i suoi amici inserendoli in uno dei contesti che ama di più. 

 

DIVERTIMENTO ASSICURATO

A differenza di altri film di Tarantino, questo è impregnato di comicità, sia voluta dalla sceneggiatura in quanto sotto forma di battuta vera e propria ma anche quella emersa grazie al lavoro attoriale dei protagonisti, che tramite sguardi o piccoli gesti strappano più di una volta qualche sorriso e risatina. Verso il finale troviamo una scena di diversi minuti interamente dedicata ad una singola battuta, che a sua volta si ricollega a uno dei momenti iniziali del film. Se questa non è dedizione!

Veniamo ora ai tasti più dolenti.

DUE BINARI PARALLELI?

Per certi versi, per gran parte del film sembra che la storia di Rick e Cliff e quella di Sharon Tate e la Manson Family viaggino su due binari completamente diversi che non potranno mai incontrarsi. Il che onestamente non è del tutto interessante da vedere. La presenza/non presenza di Manson (interpretato da Damon Herriman, che riveste i panni di Manson dopo averlo interpretato anche nella serie tv Netflix Mindhunter), che dapprima lo spettatore percepisce come un’oscura presenza, tende a stancare, poiché i momenti con lui sono pochi e poco soddisfacenti. Anche il suo clan, ad eccezione di Pussycat (Margaret Qualley), viene più volte messo in ridicolo, togliendogli quel poco di “potere” che avrebbe potuto donare un’aura di tensione alle scene in cui sono coinvolti i membri. Quella di ridicolizzare il nemico è un espediente molto utilizzato da Tarantino, che lo aveva già fatto con Hitler in Bastardi Senza Gloria e con il Klan in Django Unchained. L’atto di rendere personaggi storici terribili delle caricature è forse il suo modo di dimostrare quanto poco rispetto essi meritino.

 

SHARON TATE: PIÙ ICONA CHE PERSONA

La questione si fa delicata. Sebbene fin dal primo momento abbiamo saputo che lo sfondo delle faccende di Rick e Cliff sarebbe stato caratterizzato e intrecciato alla storia di Sharon Tate la sua presenza non risulta così vitale. Le scene in cui la vediamo comparire sono perlopiù dedite a una rappresentazione semplicistica e anche piuttosto oggettivata della sua persona. Che fosse bella non c’è dubbio, ma c’era davvero bisogno di tutte quelle inquadrature sottogonna per esaltare le gambe? Tarantino ha più volte espresso il desiderio di voler rappresentare la Tate in modo molto candido, mostrando la vita di tutti i giorni di cui è stata derubata. Sarebbe però stato meglio vederla attraverso uno spettro di emozioni più ampio piuttosto che così unidimensionale, sempre col sorriso stampato in faccia, piroettando tra la pista da ballo e la sua camera da letto mentre qualcun altro, quasi sempre un uomo, parla di lei. La Tate viene presentata come la protagonista delle fantasie di qualsiasi uomo a Hollywood, il tipo che non sa di essere bella e intelligente, che parla poco ed è sempre contenta di essere al centro delle attenzioni maschili. Emozionalmente piatta, sempre vista attraverso lo sguardo maschile del regista che più di una volta risulta del tutto voyeuristico. Insomma, ci aspettavamo più partecipazione da parte del suo personaggio e soprattutto una rappresentazione più profonda e dettagliata della sua persona dato l’impatto della sua storia sulla società americana. 

 

DESTINAZIONE SCONOSCIUTA

Per chi conosce la storia di Sharon Tate, entrando in sala sapeva già a cosa stava andando incontro. Per certi versi il film sembrava quasi una lunga attesa prima del momento X. Il che avrebbe funzionato molto bene se ci fosse stato più build up, più anticipazione, più tensione. Durante il film più volte capita di pensare “Dove stiamo andando a parare?”, poiché chi conosce la storia sa già quale sarà il punto finale, ma allo stesso tempo risulta perso nei meandri del film. 

Ci sono diverse scene in cui la tensione si fa più prominente, in particolare quella di Cliff allo Spahn Ranch, ma alla fine non porta da nessuna parte, si spegne, ricordando un fuoco d’artificio inesploso. 

TIME JUMP

Il time jump è un espediente usato spesso nel cinema e nella televisione. Certe storie non si possono (o vogliono) raccontare nella loro interezza ed è per questo che si saltano periodi di tempo più o meno lunghi, ma in questo caso è risultato forse un po’ troppo pigro. La timeline frammentata è uno dei tratti distintivi di Tarantino, dove il tempo non segue necessariamente il suo normale corso ma fa avanti e indietro a seconda delle esigenze di regia e sceneggiatura. Nonostante ciò, dopo aver passato moltissimo tempo a delineare e rendere ricco di dettagli il resto della storia, sembra quasi voler saltare a conclusioni un po’ troppo velocemente, lasciando un po’ di amaro in bocca. 

LA QUESTIONE PIEDI…

Negli anni l’ossessione di Tarantino per i piedi è diventata quasi una battuta ricorrente, il più delle volte le scene venivano motivate quindi seppur “strane”, avevano senso di esistere. In questo film ci sono due scene in particolare in cui l’unico motivo della prominente presenza di piedi femminili sia il volere di Tarantino di averli sullo schermo. Sapendo questo fatto è quasi impossibile non provare un senso di disagio durante suddette scene. Una di queste vede protagonista Pussycat, membro del clan di Manson, in macchina con Cliff. Durante la loro chiacchierata la ragazza mette i piedi sul cruscotto. Nulla di trascendentale se non fosse che per gran parte della scena essi sono il focus della camera, sono persino più grandi della sua testa e corredati di suoni di sfregamento sul vetro. Ancora una volta sembra che il lato più importante di un personaggio femminile sia la sua sensualità e il suo essere al centro del desiderio maschile. Brutta mossa. 

In conclusione, dopo tutto il parlare di Tarantino sul voler lasciare l’industria del cinema, troviamo che una fiaba cinematografica del genere dia una degna conclusione alla sua carriera. I ringraziamenti ci sono tutti. 

Ci sarebbe molto da dire anche sul finale, ma volendo lasciare questa recensione spoiler free abbiamo deciso di reindirizzare tutti i commenti sui nostri social! Veniteci a trovare!

C’era Una Volta A… Hollywood è nelle sale dal 18 settembre 2019.

 

di Elvira Bianchi

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