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Marriage Story: Tragedia della comunicazione Scarlett Johannson e Adam Driver in una storia già pluricandidata ai Golden Globes 2020

Dic 10, 2019

Secondo molti antropologi, uno dei punti di svolta nello sviluppo umano è stata la crescente capacità di comunicare. Nella finzione, uno dei punti di svolta nello sviluppo drammatico è l’incapacità (o il rifiuto) di comunicare.

In molte storie, in particolare quelle che giocano con l’ironia drammatica, fraintendimenti e incomprensioni possono spesso giocare un ruolo cruciale e permettere alle disgrazie di accadere. Questo accade spesso nelle storie con elementi mystery, come quando un assassino uccide una vittima innocente a causa di un malinteso, oppure nei drama, dove la cattiva comunicazione è spesso il risultato dei difetti dei personaggi, che li portano a commettere errori tragici. 

Tutto ciò è anche fin troppo comune nella vita reale, dove molte tragedie avrebbero potuto essere evitate se le persone giuste avessero condiviso informazioni utili a prevenirle, ma che non l’hanno per i più svariati motivi.

Da spettatori, ci piace vedere cose che ci offrono familiarità, un senso di conforto, di casa. Cosa c’è dunque di così magnetico nella rappresentazione di una storia d’amore appesa a un filo? 

In Marriage Story, diretto da Noah Baumbach, già pluricandidato ad alcuni dei più importanti premi cinematografici, è chiara la mancanza di comunicazione tra i due protagonisti. 

La storia è quella di Charlie, regista teatrale, e di Nicole, sua moglie e attrice, sposati con un bambino. Ognuno apprezza l’altro, sia nei suoi pregi che nei difetti. Sembra il ritratto di una piccola famiglia perfetta, ma c’è qualcosa che non va. Un tassello si inclina, portando la coppia a quella che sembra l’unica soluzione alla loro infelicità: il divorzio.

È chiaro il volere del regista di rilasciare la pellicola in tempo per poter partecipare alla stagione dei premi, ma forse non è da considerare una visione perfetta per la vigilia di Natale. 

È una storia piuttosto semplice nella trama ma estremamente complessa nelle emozioni e nei personaggi. La vera tragedia sta nel fatto che, tutto il dolore provato dai protagonisti (o forse è più corretto dire gran parte), avrebbe potuto essere risparmiato se solo si fossero parlati. Sembra quasi assurdo ridurre un’intera relazione, un’intera vita insieme a questo, ma il più delle volte è davvero così “semplice”. 

Nella storia del cinema ci sono stati diversi esempi di film che sfruttano la mancanza di comunicazione in una coppia come motore che porta avanti la loro travagliata relazione. 

In Blue Valentine di Derek Cianfrance vediamo come due persone fondamentalmente buone e dalle intenzioni genuine possano precipitare in un abisso fatto di abusi mentali e fisici. 

In Revolutionary Road di Sam Mendes, il film che ha visto riuniti DiCaprio e la Winslet, si percepisce la fatica dei protagonisti a mantenere viva quella relazione sopperendo alla necessità di vivisezionarne ogni parte senza mai trovare qualcosa di nuovo da dire, da fare, che non sia già stato provato. 

Potremmo definire Marriage Story il tentativo di Baumbach di realizzare un nuovo Kramer Contro Kramer. All’epoca dell’uscita il film fece scalpore perché  il personaggio femminile di Meryl Streep era stato presentato come “il cattivo” della storia, il che era strano perché in quegli anni si era soliti prendere le parti della donna ferita dal matrimonio andato in rovina. Questo non succede in Marriage Story, dove le colpe vengono equamente divise e non c’è un vero colpevole o un vero cattivo. Entrambi sono sia buoni che cattivi, proprio come spesso accade nella vita di tutti i giorni, dove quasi niente è davvero solo bianco o solo nero. 

Nella nostra società il matrimonio si va complicando man mano che la donna acquisisce più indipendenza. Non è vista più solo come un supporto al marito, ma come un’entità a sé (giustamente!), con proprie opinioni, con la voglia di vivere anche per sé stessa pari all’uomo e non solo in funzione del suo partner. Come fanno quindi due pari a coesistere in una relazione del genere? La parola chiave è Comunicazione! In questo Marriage Story fa trapelare un messaggio: non aspettare che sia troppo tardi. 

Quello di guardare una coppia urlarsi in faccia per due ore non sarà un test per la vostra  relazione, oppure sì, ma la speranza è che possiate tornare a casa confortati dicendo “almeno non siamo come loro”. Vogliamo goderci queste fatiscenti relazioni a distanza, concentrandoci solo sull’aspetto intrattenitore, ma quando queste storie vengono così riconosciute si implica il fatto che lo spettatore riesca a rispecchiarcisi un po’ dentro, altrimenti non avrebbero certo la risonanza che hanno.

Marriage Story fa parte di quella categoria di film “silenziosi”, che non vogliono abbagliare lo spettatore con trucchi, parrucchi, fotografia imponente, esibizioni di regia, ma si concentra invece su scrittura e interpretazione, puntando al cuore dello spettatore che si vedrà forse riflesso nei litigi dei protagonisti, nei loro sguardi affettuosi, nelle loro lacrime dolceamare. 

 

Marriage Story è disponibile su Netflix a partire dal 6 Dicembre 2019.

 

di Elvira Bianchi

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