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Intervista a Gianluca Santoni, regista di ‘Io e il Secco’: “Dobbiamo ricominciare a fidarci del pubblico” Il regista del film con protagonisti Andrea Lattanzi, Francesco Lombardo, Barbara Ronchi e Andrea Sartoretti, si racconta su “La voce dello schermo”.

Ott 10, 2024
Foto di Nadia La Gorga

Una delle piacevoli sorprese cinematografiche di questo 2024 è sicuramente “Io e il Secco”, diretto da Gianluca Santoni, scritto dal regista assieme a Michela Straniero e con protagonisti Andrea Lattanzi, Francesco Lombardo, Barbara Ronchi e Andrea Sartoretti. Il film è distribuito da Europictures,  prodotto da Nightswim con Rai cinema e co-prodotto da Sajama Film e Antitalent. Siamo rimasti colpiti dalla potenza della pellicola sin da prima dell’uscita nelle sale, quando “Io e il Secco” stava già facendo parlare di sé per la sua interessante storia. Adesso, possiamo dire che il film ha ottenuto il meritato successo di critica e pubblico, grazie anche al passaparola della gente che è rimasta colpita dalla storia del piccolo Denni che, stufo delle violenze subite dalla madre, decide di assoldare il superkiller Secco per far fuori il padre. Abbiamo intervistato proprio Gianluca Santoni, regista di questo interessantissimo film di cui consigliamo la visione, che si è raccontato su “La voce dello schermo” parlando della sua opera prima, del faticoso percorso intrapreso per far sì che il film arrivasse a più gente possibile e della soddisfazione per aver realizzato un lungometraggio che lascia il segno nel cuore dello spettatore. A voi…

Salve Gianluca. Benvenuto su “La voce dello schermo”. “Io e il Secco” è disponibile a noleggio sulle piattaforme. È stato un successo al cinema, nonostante un numero limitato di copie. Puoi farci un bilancio?

Salve a tutti. Grazie. Il bilancio riguardo questo film è sicuramente positivo perché rappresenta un sogno che si realizza, può sembrare retorico ma è la verità. Sogno di fare questo mestiere da tantissimo tempo e non è scontato arrivare a fare un film. Riuscire a raccontare questa storia è stato bellissimo. Vedere che, partendo da poche sale, siamo riusciti a crescere nei mesi e ad assistere all’interesse di tanti esercenti e festival è stato fantastico. Stiamo incontrando sempre di più il pubblico, attraverso un tour promozionale che abbiamo fatto, e abbiamo visto che la gente apprezza il film, dandoci la sensazione di una crescita continua.

Sembra quasi che, anche dal punto di vista stilistico, si cominci a respirare un’aria nuova tra i film in uscita. Credi si stia assistendo a un’innovazione dal punto di vista stilistico rispetto ai film del passato?

È difficile risponderti, perché non ci ho mai pensato. Per fare “Io e il Secco” ho cercato, già dalla scrittura con Michela Straniero, di dare uno sguardo che fosse mio, con tutti pregi e difetti, ma provando a fare qualcosa che mi rispecchiasse e prendendo spunto ma senza imitare altri autori. Era importante per me trovare il tono giusto, è stata la mia ossessione e non mi sono soffermato a chiedermi cosa ci fosse già nel nostro panorama ma credo che negli ultimi anni sia cambiato qualcosa e, al fianco dei tanti maestri del nostro cinema affermati, sono arrivati nuovi autori, registi e registe con sguardi nuovi, sicuramente sì. È stato un bene che si siano fatte così tante opere prime perché ha dato la possibilità di portare qualcosa di nuovo al nostro cinema, oltre la qualità che già c’era.

Facendo un passo indietro, com’è stato convincere Andrea Lattanzi, Andrea Sartoretti e Barbara Ronchi?

Credo che sia stata la sceneggiatura a convincerli. Assieme a Michela, ci siamo dedicati tantissimo a scriverla ed è cresciuta anche a ridosso delle riprese e sul set. Credo che gli attori abbiano visto che questa era una storia che volevano raccontare anche loro.

Perché hai deciso di raccontare la violenza sulle donne attraverso gli occhi di un bambino?

In realtà, non siamo partiti dal tema ma dal personaggio di Denni. Racchiude un paradosso: è un bambino vive la violenza in casa e, per salvare sua madre, decide di ricorrere alla violenza stessa. È un paradosso che spesso è molto reale, come vediamo dai fatti di cronaca in cui capita di imbatterci. Quello che abbiamo fatto è stato cercare di conoscere Denni e farci guidare da questo personaggio di fantasia, che chiaramente si nutre di realtà, per capire la storia da scrivere. Soltanto in un secondo momento abbiamo individuato il tema preciso che stavamo raccontando e credo che il film abbia a che fare con la violenza di genere ma soprattutto con le cause. Mi sono reso conto che il film ti fa una domanda: “Che tipo di uomo vuoi essere?”.

Un bel film, una bella trama, un messaggio importante e girato davvero bene. Non c’è un po’ di rammarico per la modalità in cui è stato distribuito?

Avevamo la percezione, sin da subito, che questo film potesse incontrare molto più pubblico e il bello è stato scoprire che la forza del film lo aiuta a trovare una sua strada. Ci sono quei film che nel momento in cui escono incontrano un sacco di spettatori, con tanta promozione e hanno subito la possibilità di lasciar decidere al pubblico se vedere il film oppure no. Nel nostro caso è stato difficile far sapere al pubblico che questo film c’era però, allo stesso tempo, è stato bellissimo vedere che tanti spettatori, venendo alle proiezioni senza conoscere niente del film, dicessero ‘è stata una bella sorpresa, non ne avevamo sentito parlare. È stato bellissimo’ e loro stessi sono diventati il nostro veicolo di promozione. In questo momento, ti dico la verità, il rammarico ha lasciato il posto alla felicità di vedere come il film sta trovando una strada.

Come pensi debba essere affrontato il problema della distribuzione?

L’aspetto positivo è che esistono moltissime sale e tantissimi festival che vanno a riempire quei vuoti lasciati dal processo distributivo di alcuni film. Siamo stati in giro in tantissimi posti grazie a festival e a rassegne in cui magari il film non era arrivato, prima di questa estate e di questi eventi. È importante che queste rassegne vengano difese e aiutate per crescere, perché sono fondamentali. Come si fa per migliorare il processo distributivo dei film? Se lo sapessi avrei in mano una ricetta incredibile che tutti vorrebbero rubarmi, ma purtroppo non l’ho! (ride ndr.)

Secondo te, il vero cinema, quello d’autore, è di nicchia?

In realtà non credo. Ci sono dei film che un destinatario ce l’hanno ma fanno fatica ad arrivarci. Partirei dal ricominciare a fidarci del pubblico perché non esistono formule vincenti per fare un film di successo. Esistono delle belle storie, nelle quali bisogna avere il coraggio di credere, e di fidarsi della gente che poi andrà a vedere il film nelle sale perché è capace di darci grandi sorprese.

È molto bello e importante il fatto che voi spendiate tempo ed energie per andare in tour a promuovere il film…

Sì, il tour per un film è un momento molto impegnativo, in realtà. Quando dura diversi mesi, ti impegna un periodo lungo della tua vita e sono molto grato al cast del mio film, a tutte le attrici e gli attori che ci hanno aiutato perché è commovente e non scontato che Andrea Lattanzi, Barbara Ronchi, Andrea Sartoretti, Alessandro Bernardini e Swamy Rotolo siano in giro con me e abbiano fatto tutto quello che hanno fatto da tantissimo tempo. Il nostro piccolo Denni, Francesco Lombardo, ha voluto esserci a presentare il film in alcune sale anche da solo.

Ogni regista ha il suo marchio di fabbrica, i propri tratti distintivi, la propria “Z” di Zorro. Quali pensi siano i tuoi?

Non ne ho la più pallida idea (ride ndr.) e in realtà mi fa un po’ paura pensare a questo, essendo alla mia opera prima, e mi sentirei come se stessi cercando di incasellarmi in qualcosa o di interpretare un personaggio ed essere meno libero di cambiarlo per il prossimo film. Posso dire cosa mi interessa: di raccontare dei personaggi che vivono dei conflitti che ti pongono delle domande e che nel farlo toccano le emozioni del pubblico.

Il finale lascia alcuni dubbi…

Posso dire che il finale non è aperto, c’è una risposta alla domanda che si pone lo spettatore e ci sono degli indizi sparsi durante il film e nell’ultima scena che vi fanno capire come finisce. Ho capito da un lato, dopo aver attraversato vari finali, di dover lasciare una risposta chiara e dall’altro di non dover fare arrivare subito a una risposta perché se penso da spettatore ai film che mi piacciono mi vengono in mente quelli che uscendo dalla sala ti portano a ripensarci, anche giorni dopo. Credo che il finale che abbiamo dato permette allo spettatore di stare un po’ di più con Denni e Secco.

Cosa serve per realizzare un bel film?

Una storia onesta, che deve essere quello che realmente ti entusiasma raccontare, e gli interpreti capaci di dare corpo e anima andando anche oltre rispetto a ciò che immaginavamo sulla carta. Se volessimo riassumerle in due elementi direi: la scrittura e la recitazione.

Se dovessi fare una domanda a Gianluca cosa chiederesti?

È complicato. Mi chiederei se sono contento del film perché, essendo un mestiere fatto di alti e bassi, mi succede a volte che non mi fermo abbastanza a godermi i momenti belli di quello che ho fatto. E mi fermerei per rispondere di sì e godermi quel momento.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Credo che significhi ascoltare quello che il film fa suonare dentro di te. Se ti piace o no dipende dal momento in cui lo guardi, quindi significa anche ascoltarsi per capire quello che abbiamo dentro.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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