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Intervista a Giusy Buscemi: “La complessità dell’essere Vanina” L'attrice, protagonista di “Vanina - Un vicequestore a Catania”, si racconta su La voce dello schermo confidando tanti aspetti della serie e del suo personaggio.

Apr 10, 2024
Foto di Valentina Glorioso

Vanina – Un vicequestore a Catania” sta conquistando e appassionando il pubblico di Canale 5 puntata dopo puntata. Lo testimoniano gli ascolti: due volte su due infatti la serie è risultata la più vista della serata, coinvolgendo sempre di più anche un pubblico giovane. Riprodurre in carne e ossa un personaggio complesso, non banale e con delle grandissime aspettative da parte dei fan dei romanzi scritti da Cristina Cassar Scalia non era semplice, ma Giusy Buscemi ha saputo cucirsi addosso perfettamente un abito così interessante e particolare, riproducendo in pieno l’essenza di Vanina Guarrasi.
Su “La voce dello schermo” abbiamo avuto il piacere di intervistare proprio Giusy Buscemi, protagonista della serie diretta da Davide Marengo e prodotta da Palomar, che ha raccontato di cosa abbia significato per lei interpretare Vanina e della sfida che ha rappresentato il dover mostrare aspetti lontani dai personaggi televisivi femminili a cui siamo abituati. Questo e altro nella nostra intervista. A voi…

Salve Giusy. Benvenuta su “La voce dello schermo”. Partiamo da “Vanina”. Hai dovuto rendere in carne e ossa un personaggio di un romanzo. Com’è stato diventare Vanina?

Salve a tutti, grazie. Interpretare Vanina è stata una sfida perché offriva delle belle opportunità interpretative ma anche dei pericoli. Quando leggiamo un romanzo ci affezioniamo a un personaggio immaginario e ciascuno di noi lo ricrea nella propria mente. Sono partita leggendo i primi due romanzi e ho avuto l’opportunità di incontrare Cristina Cassar Scalia per chiederle consigli su come interpretarla al meglio.

La scrittrice vi ha aiutato in qualche modo?

Cristina ha collaborato alle sceneggiature e quando l’ho incontrata le ho chiesto quali fossero, secondo lei, le caratteristiche fondamentali di Vanina. Mi ha risposto che era importante rendere l’ironia del personaggio, il modo di mangiare, il non volere entrare mai nella sofferenza delle persone e non farsi coinvolgere mai pienamente. Riguardo questo ultimo aspetto siamo riusciti a renderlo fino a un certo punto perché la Vanina televisiva arriva con un’empatia maggiore rispetto a quella dei romanzi. Un progetto che passa dalla carta allo schermo ha bisogno di alcuni adattamenti ed è stato necessario realizzare un lavoro collettivo per arrivare alla Vanina che oggi vediamo su Canale 5.

Quali sono state le difficoltà dell’interpretarla?

Sicuramente capire il bioritmo di Vanina, che è molto diverso dal mio. Possiede un’unicità nel modo di muoversi, di camminare, di guardare le cose e nell’essere istintiva. Allo stesso tempo, dovevo alimentare la parte superficiale legata al fumo, al cibo, comprendere in fondo il suo modo di lavorare e differenziarlo dalla ragazza che vive la vita con i suoi amori, i suoi amici e la squadra fuori dal lavoro.

Cosa significa per un’attrice interpretare un ruolo del genere, un po’ fuori dagli schermi?

Ha rappresentato la possibilità come persona e come attrice di scoprire nuovi aspetti di me, di poter spaziare tra le sfumature di racconto e addentrarmi all’interno di una personalità diversa. Ho studiato con un coach prima di andare su questo set ed è stata l’occasione per sperimentare nuove corde e avere lo stimolo per volerne trovare ancora altre.

Foto di Valentina Glorioso

In tv ci sono tanti polizieschi che seguono la scia di “Vanina”, come “Lolita Lobosco”, “Rocco Schiavone”, “Imma Tataranni”. Hai mai avuto il timore che la serie non venisse apprezzata perché ritenuta simile per il genere o per alcune caratteristiche?

Sì, ma se da una parte c’è il timore dall’altra c’è la consapevolezza che esiste un pubblico pronto, che ama i gialli e che vuole immedesimarsi sia con le storie che con l’antieroe che li conduce.

In cosa pensi sia unica Vanina?

Rispetto alle altre, la ritengo una serie più giovane e gli ascolti lo testimoniano, perché è presente una fetta di pubblico giovane molto grande. Un’altra caratteristica che rendono unica la serie è lo spirito di squadra presente. Vanina è un personaggio in grado di risolvere i casi, ma allo stesso tempo ama dare i compiti e far crescere ciascuno nel proprio ruolo. Lo spirito di squadra molto forte è un valore aggiunto presente nella serie.

Il ruolo di Vanina sembra allontanarsi dai canoni standard e tipici dei personaggi femminili che vediamo nelle serie tv italiane. Che idea ti sei fatta su di lei?

So di avere interpretato un personaggio meno aggraziato, meno garbato e che può rientrare meno nell’immaginario femminile ma, allo stesso tempo, in quanto donna, ha raccontato anche una sensibilità, un’empatia e ha portato un messaggio di incoraggiamento nei confronti della propria squadra, per aiutarli a crescere nella propria vocazione. Credo che questi e altri aspetti raccontati siano dei valori e dei tratti caratteristici della femminilità.

Com’è stato tornare in Sicilia con un ruolo del genere?

È stato bellissimo perché ha rappresentato la prima volta che giravo in Sicilia e non vedevo l’ora di tornare. Dopo essermi trasferita a Roma, ho studiato dizione e il siciliano era spesso associato a una lingua da “ripulire”. L’idea di dover tornare alle origini, anche se con un linguaggio comprensibile per il pubblico, è stato molto naturale e importante per raccontare le nostre storie.

Che legame hai mantenuto con la tua terra?

Ho un legame molto solido e continuo con la mia terra. Quando posso, torno in Sicilia anche due o tre volte al mese. Cerco di far crescere anche nei miei figli il rapporto con la Sicilia per ricordargli che sono siciliani per metà. Io e mio marito abbiamo un’azienda agricola dove coltiviamo avocado, produciamo olio e amiamo questa terra e la percezione di un tempo che viaggia a un ritmo diverso nel quale si può godere di più i frutti della vita. Spesso la città ti fa andare a un ritmo talmente veloce che non ti permette di farlo.

Foto di Valentina Glorioso

Quali sono le interpretazioni della tua carriera a cui sei più legata e perché?

È una domanda difficile perché è come se mi chiedessi quale sia il mio figlio preferito! (ride ndr.) È sempre l’ultimo e quello che andrò a interpretare dopo. Ogni ruolo mi ha lasciato qualcosa di particolare, ma il primo ruolo da protagonista, quello di Teresa Iorio ne “Il Paradiso delle Signore”, ha rappresentato per me un personaggio importante per il mio debutto vero, dopo tanti anni di piccoli ruoli. Inoltre, raccontava per certi versi la mia storia: una ragazza trasferitasi dalla Sicilia in una grande città e che desiderava inseguire un sogno.

Hai interpretato una giornalista in “Smetto quando voglio – Masterclass” e “Smetto quando voglio – ad Honorem”. Che ricordi hai di questa esperienza?

Ho un ricordo di un lavoro molto bello, con un regista che stimo tantissimo: Sydney Sibilia. Nonostante abbia interpretato un piccolo ruolo, lui è riuscito a regalare una grande backstory anche a personaggi più piccoli. Ho percepito la sensazione di aver fatto un bel lavoro su quel personaggio sul grande schermo. Se ripenso a quei due film, mi rivedo molto piccola e con tantissime cose da imparare ma è stata un’occasione importante per lavorare ad altissimi livelli.

Cosa dobbiamo aspettarci dai prossimi episodi di “Vanina”?

Vedremo una Vanina che, a poco a poco, si svelerà sempre di più, scopriremo nuovi aspetti che ancora non conoscevamo e il suo desiderio di giustizia sarà sempre più grande perché saremo vicini a una persona coinvolta nell’omicidio del padre. In seguito a queste circostanze, emergerà una Vanina nuova e diversa.

Altri progetti in cui ti vedremo prossimamente?

Presto mi vedrete in una miniserie diretta da Sergio Rubini sulla storia di Leopardi.

Questo portale si intitola la voce dello schermo. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Significa accendere la televisione e avere l’opportunità di ascoltare una storia, che prima di tutto vuole intrattenere e che è un aspetto che considero non banale perché ritengo che l’intrattenimento attraverso l’arte andrebbe valorizzato di più, soprattutto in Italia.

 

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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