Il 23 gennaio esce al cinema “10 giorni con i suoi”, commedia diretta da Alessandro Genovesi, distribuita da Medusa e con protagonisti Fabio De Luigi, Valentina Lodovini, Dino Abbrescia, Giulia Bevilacqua, Gabriele Pizzurro e Angelica Elli.
Il film rappresenta il terzo capitolo, dopo “10 giorni senza mamma” e “10 giorni con Babbo Natale”, della saga che racconta le vicende della famiglia Rovelli. Abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo“, Gabriele Pizzurro che, dopo aver commosso milioni di telespettatori interpretando Nino in “Stranizza D’Amuri”, ha deciso di mettersi alla prova nella commedia. Gabriele si è raccontato parlando della sfida che ha rappresentato per lui interpretare Antonio e confrontarsi con il dialetto pugliese. L’attore ha, inoltre, ricordato l’esperienza sul set di “Stranizza D’Amuri”, diretto da Giuseppe Fiorello e ci ha confidato del legame ancora solido che si è creato all’interno di quella esperienza lavorativa. Questo e altro nella nostra chiacchierata con Gabriele Pizzurro, un attore giovane ma che ha già dimostrato, tra cinema e teatro, di non avere paura delle sfide. A voi…

Salve Gabriele, benvenuto su “La voce dello schermo”. Ti vediamo al cinema dal 23 gennaio in “10 giorni con i suoi”, al fianco di Fabio De Luigi, Valentina Lodovini, Giulia Bevilacqua e Dino Abbrescia. Cosa dobbiamo aspettarci e cosa ti ha colpito di questa esperienza?
Salve a tutti, grazie. È una commedia molto divertente, intelligente e con protagonisti molto bravi, che hanno dato a questa commedia il peso giusto. Tutte le tematiche del film credo che vengano raccontate fino in fondo e nel modo giusto. Spero che piaccia. Vi farà ridere e riflettere.
Cosa ti ha messo alla prova del tuo personaggio?
È stata una bella prova perché nonostante Antonio sia uno studente universitario, ho dovuto comunque confrontarmi con il dialetto pugliese ed essendo di Roma è stata per me una sfida. Fortunatamente ho avuto anche dei coach molto bravi e consultavo spesso Dino Abbrescia, che interpreta mio padre, per capire se stessi riproducendo bene la cadenza all’interno delle mie battute. Inoltre, il linguaggio della commedia ha rappresentato una novità per me perché, a parte qualche spettacolo teatrale, avevo fatto esperienze totalmente differenti al cinema. È stato impegnativo adattarmi ai temi e ai ritmi della commedia e ho compreso che sono molto diversi rispetto al genere drammatico.
Cosa hai amato della commedia?
Il fatto che affronti tematiche in modo più leggero che però, se è una commedia fatta bene, si rispecchiano nel pubblico con lo stesso impatto del genere drammatico. Offre una chiave diversa per arrivare al tema, ma viene fuori allo stesso modo.
La coralità è uno dei punti di forza del film, che compagni di set hai trovato?
Ho trovato dei professionisti molto bravi e generosi nel proprio lavoro. Da una parte c’era la famiglia più collaudata, capitanata da Fabio (De Luigi ndr.) e da Valentina (Lodovini ndr.), che ci ha accolto in modo splendido; dall’altra le new entry del film con cui mi sono trovato anche molto bene. Si è creata una grande connessione tra tutti noi. Inoltre Leone (Cardaci ndr.), che interpreta mio fratello è un bambino molto sveglio e intelligente che ci ha fatto molto ridere e assieme a Bianca (Usai ndr.) sono stati l’anima del film.

Da chi pensi tu abbia imparato di più durante questa esperienza?
Un po’ da tutti ma in modo particolare da Fabio, lo reputo un bravissimo attore, molto capace in quello che fa e guardarlo è stato per me come assistere a una lezione di recitazione. Sia osservarlo sul set che vedendo il film mi sono reso conto che ci sono delle scene di altissimo livello tra lui e Valentina, con dei cambi emotivi molto significativi. Apprendere da lui, studiandolo, è stato per me importante e bello.
Il sud è nel tuo destino nonostante tu sia romano. Prima di interpretare un ragazzo pugliese in “10 giorni con i suoi” avevi interpretato il siciliano Nino in “Stranizza D’Amuri”. Com’è andata questa sfida con i dialetti?
È andata molto bene perché amo fare l’attore per diventare sempre qualcuno di diverso rispetto a ciò che sono. Il fatto che ancora non abbia interpretato personaggi romani, come sono io, lo reputo un bene e mi rende molto felice. Ho avuto l’opportunità di cimentarmi in ruoli così diversi tra di loro e da me e vorrei continuare su questa strada. È bello fare questo mestiere per tutto lo studio che c’è dietro e affrontare un altro dialetto è un aspetto che mi affascina molto.
Un altro personaggio a cui sei molto legato è Nino di “Stranizza d’amuri”, film diretto da Giuseppe Fiorello. Che esperienza è stata per te?
“Stranizza D’Amuri” è stata finora l’esperienza più importante della mia vita. La storia mi ha colpito sin da subito e ho un attaccamento molto forte alle persone che hanno fatto parte di quel film. Beppe Fiorello, Samuele Segreto, tutti gli altri membri del cast di quel film sono diventati per me una famiglia e spesso organizziamo cene o pranzi insieme. Il rapporto umano e il valore affettivo, oltre che lavorativo, è la cosa più bella che mi porto dietro da quella esperienza. Infine, è stato importante avere l’onore di dare voce a questi due ragazzi a cui purtroppo la parola è stata negata troppo presto.
Quando si raccontano tematiche importanti, di storie realmente accadute, che responsabilità si avvertono da attore?
La sensazione che ho avuto nell’interpretare Nino è stata quella di dover approcciarsi ‘con i guanti’ a questa storia. Cito una frase che Samuele (Segreto ndr.) dice spesso: “Vestire i panni di quei ragazzi ti investe subito di una grande responsabilità”. Interpretandoli, non c’era momento che non fossimo al corrente di questo e, durante la lavorazione, abbiamo voluto concentrarci sulla loro unione, su ciò che li ha uniti e li ha fatti amare.
Il teatro è un mondo che ti appartiene. Un attore giovane come si avvicina al teatro? Dal momento che è sempre poco pubblicizzato…
Faccio teatro sin da quando ero piccolo, dal momento che mio padre è direttore di un teatro di Roma e l’ho sempre seguito, essendo per me un punto di riferimento importante. Vivendo più in quel teatro che a casa mia, ho avuto modo di vedere nella sua scuola di recitazione come molto spesso la gente si avvicini al teatro perché il teatro viene considerato come una sorta di antidoto alla timidezza e riesce a creare collegamenti importanti con le emozioni. Credo sia un aspetto molto significativo, perché trovo che le connessioni molto profonde alle emozioni caratterizzino un bravo attore.
Ci sono altre esperienze a cui sei legato? Quali e perché?
Sono molto legato a due musical teatrali che ho fatto: uno è “La fabbrica di cioccolato”, dove interpretavo Willy Wonka e lo ricordo sempre perché è uno dei ruoli a cui sono più legato. Un altro è uno spettacolo di Goldoni e per la regia di Pietro Maccarinelli, “La casa nova”, e in cui sono stato impegnato lo scorso anno al teatro India di Roma. Abbiamo fatto venti date ed è stata una bella esperienza.

Dove ti vedremo prossimamente?
Sono in attesa di capire i nuovi progetti che mi riguarderanno e al momento posso dire che sto frequentando l’accademia Silvio D’Amico perché credo che studiare, di pari passo con il lavoro, sia una delle cose più giuste e importanti per fare sì che questo mestiere venga fatto nel miglior modo possibile.
Se fossi un giornalista che domanda faresti a Gabriele?
Gli chiederei: “Che ruolo ti piacerebbe interpretare in futuro?” e risponderei che un ragazzo che vuole fare l’attore vuole sia avere un suo strumento che deriva dalla fisionomia e dal suo carattere e che è un comune denominatore dei miei personaggi, ma anche un altro aspetto che forse nei provini non è subito ben visibile, che porta a fare emergere un altro lato più impulsivo e più dark di me che è nascosto e che mi piacerebbe esplorare.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa ascoltare con la massima attenzione e in modo attivo quello che le storie hanno da raccontarci.
Di Francesco Sciortino