Dal 2 marzo sta riscuotendo un grandissimo successo, su Netflix, la seconda e ultima stagione di “Incastrati”, serie di e con Ficarra e Picone che racconta le vicende di due tecnici televisivi ritrovatisi per caso su una scena del crimine e a dover fare i conti con la Mafia.
Abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo”, Marianna Di Martino, che nella serie interpreta Agata. L’attrice ha fatto un’interessantissima riflessione sulla serie, su cosa abbia significato per lei interpretare una donna di potere e madre di uno spigliato ragazzino ed essere diretta dagli occhi attenti di Ficarra e Picone. Ma non è finita qui, Marianna ha anche svelato un curioso retroscena che riguarda Leo Gullotta e ripercorso quelle che secondo lei sono state le tappe fondamentali della propria carriera, in cui figurano anche nomi come Leonardo Pieraccioni, Guy Ritchie, Hugh Grant. A voi.
Salve Marianna, benvenuta su “La voce dello schermo”. Partiamo da “Incastrati”. La seconda stagione sta andando benissimo su Netflix. Puoi farci un bilancio di questa esperienza? Cosa porti nel cuore?
Salve a tutti. Grazie. Per prima cosa porto la consapevolezza di quanto Salvo e Valentino (Ficarra e Picone ndr.) siano due maestri assoluti in quello che fanno, anche se loro non amerebbero essere definiti così. Porto la gratitudine di avere imparato tantissimo su diversi mondi che non conoscevo tanto bene. La loro commedia è un qualcosa di unico, ma è soprattutto una commedia colta a livello di sicilianità assoluta. Possiede innumerevoli riferimenti alla nostra storia letteraria e dell’antimafia. Riguardo quest’ultimo argomento ero poco informata e sono rimasta ancora più sorpresa nel conoscere fatti che, da catanese, percepivo in maniera lontana. Il loro continuo ricordare, interpretando in maniera nuova attraverso la critica e la risata, questi avvenimenti mi ha fatto imparare moltissimo anche della nostra storia.
Dal punto di vista artistico, cosa ti è piaciuto dell’interpretare Agata?
Il primo aspetto che mi ha subito colpito è stato il conflitto tra la commedia del personaggio interpretato da Valentino e la drammaticità del personaggio di Agata. Inoltre, mi è piaciuto tantissimo interpretare una donna di potere ma trattata con assoluta normalità. All’interno di discorsi femministi a volte si tende quasi ad andare oltre, come se noi donne fossimo una specie in via d’estinzione da proteggere. A me piacerebbe normalizzare determinati argomenti, come la donna al potere, e Agata è una donna normalissima in una posizione di potere. Infine, interpretare una mamma è sempre una sfida che mi piace da morire. Non ho figli e ogni volta che interpreto una madre è sempre un gioco incredibile. Nei nuovi episodi ho il figlio più grande che abbia mai avuto durante i miei lavori e questo mi ha portata a misurarmi con un qualcosa di diverso, sia umanamente che dal punto di vista recitativo. Mi sono ritrovata un mini adulto con le sue idee, i suoi tempi ed è stato stimolante.
È stato fatto un lavoro di somiglianza o di diversità tra te e lei?
Cerco sempre di trovare dei punti di contatto con i personaggi che faccio, poi ci sono quelli che sembrano più distanti e altri che sembrano più vicini a me. Ma il lavoro è sempre quello: anche se i personaggi sono molto diversi dal tuo modo di essere, riesci a trovare quella piccolissima parte che segue quella logica e quell’istintività di quel personaggio e la esplori. Per questo motivo noi attori diciamo spesso: “Questo personaggio e questa esperienza mi ha cambiato”, perché ogni personaggio ci cambia e ci fa scoprire, per forza di cose, degli aspetti nuovi.
Riguardo Ficarra e Picone, quali altri aspetti ti hanno colpito di loro?
Sono dei perfezionisti. Essendo autori, registi e interpreti vedono la storia da tanti punti di vista differenti, a tutto questo si aggiunge una conoscenza tecnica e un perfezionismo incredibile, bilanciandosi di continuo. Sono due teste, con quattro occhi che guardano la stessa storia. A loro non sfugge niente, dalle inquadrature, alle ottiche, al controllo di tutti i fili e gli incastri della sceneggiatura e dei personaggi. Hanno la freschezza e l’ascolto continuo nel sentire cosa viene fuori dalle riprese e dagli attori. Dal copione al ciak il prodotto poi cambia e loro seguono costantemente questo continuo cambiamento che porta a migliorare la storia.
Ci sono degli aneddoti dal set che vorresti condividere con nostri lettori?
C’è un momento che mi ha fatto emozionare particolarmente. Soprattutto durante la seconda stagione, ho avuto il piacere di girare diverse scene con Leo Gullotta. Agata e il procuratore si confrontano parecchio e, un giorno, Leo mi ha invitato nel suo camerino a provare, poco prima che girassimo la scena. Questo invito mi ha donato una sensazione di stupore, di fortuna e di orgoglio. Quei dieci minuti nel camerino, in concentrazione e con lui che mi dava dei piccoli suggerimenti, sono stati un atto di pura creazione, di fiducia e che mi hanno lasciato tanto. È stato un regalo personale che non dimenticherò mai.
Quali sono state le tappe della tua carriera che vorresti ricordare?
Il mio primo passo importante è stato il mio inizio con la fiction, che ha rappresentato una grande scuola, anche per i tempi che la fiction detta. Non posso, quindi, non citare le due stagioni di “Come un delfino” perché è stato un bel pezzo di vita, considerando in che momento è avvenuto. Poi c’è stato il mio debutto sul grande schermo, in “Un Fantastico via vai” di Leonardo Pieraccioni, grazie al personaggio di Camilla. Sono molto affezionata a lei per le cose che mi ha permesso di fare, di dare e di scoprire. Poco dopo è arrivato “Operazione U.N.C.L.E.” diretto da Guy Ritchie, con Hugh Grant mito della mia adolescenza. Questa esperienza ha messo alla prova il mio autocontrollo e mi ha permesso di scoprire che c’erano un mondo di possibilità che mi si ponevano davanti e di capire che i miei limiti potessero andare oltre ciò che pensavo. Infine, non posso non citare le due stagioni di “Incastrati” e la mia Agata. Faccio fatica ancora ad accettare l’idea di lasciarla andare e sicuramente questa estate andrò in vacanza a Palermo perché, dopo due anni lì, non posso pensare di non tornare.
Tu sei siciliana. Com’è stato portare la tua sicilianità nel tuo lavoro?
È stata sicuramente una ricchezza, non mi viene spesso data la possibilità di interpretare personaggi siciliani e ogni volta che mi succede rimango molto legata a loro. Non è un caso che i personaggi che ho citato prima siano tutti siciliani, nonostante i personaggi che abbia interpretato siano tutt’altro che siciliani.
Se potessi fare una domanda a te stessa, quale faresti?
Mi è stato sempre chiesto perché non avessi mai fatto il teatro ma non se mi sarebbe piaciuto farlo. Credo che le cose e le persone cambino. Mi sono innamorata del mio mestiere per la macchina da presa, per il set e provando quasi un timore reverenziale verso il palco e verso il teatro. Adesso, dopo più di dodici anni circa, sento la voglia di avvicinarmi al teatro e mi chiedo perché il mondo cinematografico/televisivo e quello teatrale siano così “scollati”. Mi piacerebbe che ci fosse più interscambio tra set e palco, credo che ne gioverebbero entrambi e sono la prima che vorrebbe farne parte, nonostante non ho avuto ancora modo. Mi piacerebbe molto esplorare questo mondo, nonostante non sappia ancora se su un palco, in platea o in direzione. Vorrei chiarire un po’ le idee perché sto maturando quasi la necessità di misurarmi con il teatro.
Se potessi rubare un ruolo a una tua collega, quale sceglieresti?
Rispondo con una risposta istintiva e una sensata. La prima è “Batman” o “Birdman”, perché non voglio escludere ruoli maschili e perché amo le contaminazioni. Sono cresciuta vedendo eroi greci che nelle versioni rivisitate venivano interpretati da straordinarie attrici, regalando sfumature completamente nuove, così come ai tempi di Shakespeare gli uomini dovevano interpretare dei personaggi femminili. Mi ha sempre affascinato questo aspetto del teatro e mi piacerebbe che venisse applicato maggiormente anche al cinema. La risposta sensata invece è il ruolo di Jodie Comer nell’opera “Prima Facie”. Sarebbe un ruolo che mi piacerebbe davvero tanto poter interpretare.
Questo portale si chiama “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
La voce dello schermo è una voce interiore, è uno specchio che dovrebbe, nella migliore delle ipotesi, farci riflettere, farci sorridere, farci piangere e aiutarci, direttamente o indirettamente, ad affrontare ed esorcizzare degli aspetti della vita, facendoci riflettere su dei punti di vista a cui non avevi pensato o non facendoti sentire meno solo perché la storia che vedi ti permette di identificarti con quel personaggio che vedi sullo schermo.
Di Francesco Sciortino