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Intervista a Valerio Di Benedetto: “‘Il nostro Generale’ rappresenta una pagina di storia spesso poco raccontata” La voce dello schermo ha intervistato Valerio Di Benedetto, in queste settimane su Rai Uno nella serie "Il Nostro Generale" nei panni di Patrizio Peci.

Gen 16, 2023

Stasera va in onda, su Rai Uno, la terza e penultima puntata de “Il Nostro Generale”, serie tv diretta da Lucio Pellegrini e Andrea Jublin e con Sergio Castellitto nei panni del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Abbiamo intervistato, per l’occasione, Valerio Di Benedetto, che nella fiction interpreta Patrizio Peci. L’attore ci ha parlato del lavoro che si cela dietro la propria interpretazione, di alcuni aspetti inediti del suo personaggio e ha ripercorso le tappe principali della propria carriera, divisa tra teatro, televisione e cinema e di cui ricordiamo sicuramente personaggi come quello di Dylan Dog in “Vittima Degli Eventi”. A voi.


Salve Valerio, benvenuto su “La voce dello schermo”. Ti stiamo vedendo ne “Il Nostro Generale”, nei panni di Patrizio Peci. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Salve a tutti. Grazie. È stata un’esperienza bellissima. Ho avuto la possibilità di lavorare su un personaggio realmente esistito, ho cercato delle fonti da cui potessi studiarlo, partendo dalle interviste che ha rilasciato a Enzo Biagi e arrivando al materiale biografico che lo riguardava. Ho indagato anche su dei particolari che lo riguardassero attraverso le testimonianze di Giordano Bruno Guerri e una sua vecchia conoscenza ai tempi adolescenziali.

Dal punto di vista interpretativo quali caratteristiche ti sono piaciute di lui?

Quando ho chiesto a Giordano Bruno Guerri che impressione gli avesse fatto Peci, lui mi risposte che gli ricordava un pistolero, me lo sono immaginato come un pistolero degli anni ’80 che vagava per le vie di Torino. Mi ha affascinato il suo essere un lupo solitario, un po’ guardingo. Ho dovuto trovare anche una camminata appropriata alla sua personalità.

Perché è importante secondo te realizzare prodotti come “Il Nostro Generale”?

Concordo con ciò che ha detto Sergio Castellitto durante la conferenza stampa, ovvero che i libri di testo di storia quasi sempre si fermano subito dopo la seconda guerra mondiale, ma c’è una parte di storia del nostro Paese che non conosciamo bene, soprattutto se non siamo appassionati. La Rai, realizzando prodotti del genere, fa un’operazione di divulgazione e di servizio pubblico fondamentale. Credo sia un modo importante per rispolverare la storia del nostro Paese e sarebbe un peccato non conoscererla, perché significa trascurare delle dinamiche che hanno condizionato il nostro presente, che è figlio di quel periodo.

Attualmente sei impegnato su diversi spettacoli….

Sì, sono impegnato su tre spettacoli: il primo è “La bicicletta”, tratto da una storia di Sandro Bonvissuto, adattato e diretto da Gabriele Mazzucco. È un testo molto intimo, ambientato agli inizi degli anni ’90, che racconta la storia di un bambino di 5 anni che si ritrova emarginato dagli amichetti perché non sa andare in bicicletta. C’è un lavoro di introspezione, alla scoperta di quelli che sono i propri limiti, le paure, il rapporto con la madre e il padre e soprattutto il sentirsi diversi. È un testo a cui tengo particolarmente. Il secondo è uno spettacolo sulla violenza di genere e sul femminicidio, intitolato “X=Y”, scritto e diretto da Anastasia Astolfi. Il terzo, infine, è “Che disastro di commedia”, che torna in scena per un mese al Teatro Orione, è un testo che nasce a Londra, è stato trasposto in tantissimi Paesi, ha vinto tantissimi premi e noi facciamo parte del cast ufficiale della versione italiana. È la storia di una compagnia teatrale amatoriale che prova a mettere in scena un giallo, ma che non riesce mai a realizzarla.

Tornando alle tue interpretazioni della tua carriera, quali sono state quelle che ti hanno segnato maggiormente e perché?

Sicuramente “Spaghetti Story”, il primo film che ho fatto con Ciro De Caro, mi ha regalato l’opportunità di cimentarmi come protagonista, responsabilizzandomi sul mio lavoro e sul progetto. Era importantissimo per me fare un buon lavoro e la pressione mi ha aiutato molto anche a crescere come artista. Un altro personaggio che mi ha colpito tanto, sulla falsa riga di Peci, e che mi ha lasciato tanto a livello di interpretazione è quello ne “L’effetto Che Fa”, scritto e diretto da Giovanni Franci e che porta in scena l’Omicidio Varani. Mi sono ritrovato a interpretare Manuel Foffo, unico superstite riguardante quella storia. È stata una sfida perché non avevamo nessun tipo di elemento su di lui. Non conoscevo i suoi movimenti e il suo modo di essere. È stata una bella prova e interessante. Infine, credo che su Peci abbia fatto un lavoro sicuramente più completo rispetto ad altri personaggi da me interpretati, per cui come terzo personaggio dico lui.

Riguardo il teatro, tieni molto a questo mondo e si percepisce dalle esperienze citate, quali opportunità ti ha concesso dal punto di vista artistico?

Il teatro mi ha permesso di toccare corde diverse perché ho avuto più possibilità rispetto agli altri settori. Mi ha permesso di lavorare maggiormente su degli aspetti che non ho ancora avuto modo di approfondire, se non in poche circostanze, in tv e al cinema. È un mondo che conosco bene e che, anche se è meno redditizio e offre meno popolarità, possiede un’autenticità che ho avuto modo di trovare poche volte durante le altre mie esperienze. È il primo amore e torno a teatro sempre volentieri.

Spostandoci su “Vittima degli eventi”, cosa ti ha lasciato questa esperienza e cosa ha significato per te interpretare Dylan Dog?

Sicuramente interpretare Dylan Dog mi ha permesso di rappresentare un’icona e di assumermi la responsabilità di rendere omaggio a un personaggio che non è mai esistito fisicamente ma è sempre esistito sulle pagine e nell’immaginario collettivo dei lettori ed è radicato nel nostro vissuto. Lui esiste, ma ognuno di noi ha un’idea diversa di come sia. È stata una sfida diversa e molto creativa.

Quali tipi di ruoli ti entusiasmano?

Dei ruoli sulla scia di Peci, Foffo, Dylan Dog, perché raccontano delle storie interessanti e che hanno delle sofferenze nascoste e che possiedono molti elementi su cui indagare.

C’è un ruolo che ruberesti a un tuo collega?

Ultimamente ho visto “The Bad Guy”, l’ho adorato e tutti i personaggi hanno delle sfumature che mi sarebbe piaciuto vivere come attore, interpretando uno di loro.
Spesso i ruoli che ti colpiscono in una serie tv o al cinema, e che nascondono un po’ di “invidia”, sono quelli legati a grandi interpretazioni e difficilmente replicabili. Uno di questi è senza dubbio Michael Scott di Steve Carell in “The Office”. Per me rappresenta il punto più alto alla comicità assieme a Ricky Gervais in “Derek”.

Questo portale si chiama “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Significa ascoltare il mio mondo e fare in modo che la voce dello schermo sia anche la mia voce.

 

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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