Debutta su Rai 1, lunedì 15 maggio, “Vivere non è un gioco da ragazzi”, la serie diretta da Rolando Ravello con un cast di attori adulti di tutto rispetto come Stefano Fresi, Nicole Grimaudo, Claudio Bisio e con giovani interessanti come Riccardo De Rinaldis e Matilde Benedusi. La serie affronta le fragilità e la troppa leggerezza che a volte caratterizzano l’età adolescenziale e che portano i giovani a fare i conti con il peso della responsabilità. Le restanti puntate andranno in onda lunedì 22 e martedì 23 maggio.
Abbiamo intervistato, per presentare la serie, Matilde Benedusi, che interpreta Serena, interesse amoroso di Lele, il protagonista delle vicende raccontate. L’attrice, che abbiamo visto anche ne “Il Grande Giorno” con Aldo, Giovanni e Giacomo, si è raccontata su “La voce dello schermo” presentandoci il suo personaggio e interessanti aspetti che riguardano “Vivere non è un gioco da ragazzi”, la sua carriera da attrice e la sua passione per il canto. A voi…
Salve Matilde. Benvenuta su “La voce dello schermo”. Presentiamo “Vivere non è un gioco da ragazzi” e il personaggio di Serena…
Salve a tutti. Grazie. Interpreto Serena, l’interesse sentimentale di Lele, il protagonista interpretato da Riccardo De Rinaldis. Serena appare come la ragazza perfetta, irraggiungibile ma, in realtà, presenta varie fragilità, alcune dovute anche al rapporto con il padre. Nel corso della serie nasconde le sue insicurezze, quasi a sentirsi in colpa, fino a quando decide di buttarsi, sia nell’amore e nell’amicizia, e di assumersi le proprie responsabilità. Inizialmente è chiusa, cinica ma nasconde una forte sensibilità.
Perché secondo te “Vivere non è un gioco da ragazzi” merita di essere guardata?
Perché fa riflettere su come una semplice azione, che può sembrare innocua e superficiale, può provocare conseguenze gravissime. La serie spinge i giovani a riflettere di più e a pensare due volte prima di commettere sciocchezze.
Lele ad esempio spaccia con superficialità, non riflettendo sul fatto che in quel momento sta commettendo un reato e fa girare delle pasticche che sono pericolosissime, tanto da provocare la morte di Mirco.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza? Quali corde ti ha permesso di toccare il tuo personaggio?
È stato molto impegnativo rendere il senso di colpa di Serena. Si sente responsabile della morte di Mirco e rendere gli stati d’animo di Serena è stata una bella sfida. Interpretarla mi ha fatto esorcizzare i miei sensi di colpa, ovviamente per fatti meno gravi rispetto a quelli di Serena, e mi ha fatto capire che nella vita è sempre importante cercare di venirsi incontro e di non lasciare nulla di irrisolto. Questa serie mi ha lasciato tantissimi insegnamenti, anche dal punto di vista umano, e mi ha fatto comprendere meglio il comportamento dei miei genitori quando ero adolescente.
La serie tratta la tematica della responsabilità in età adolescenziale. Cosa significa per te essere responsabili in giovane età?
Credo abbia diverse sfumature. Penso significhi anche avere tatto. Spesso le insicurezze e le fragilità condizionano la vita dei ragazzi, riversandole anche nelle amicizie, giuste o sbagliate. La responsabilità nelle relazioni umane consiste nel capire quando è il caso di fare un passo indietro. Nella vita, secondo me, significa pensare due volte prima di fare qualcosa e cercare di avere rispetto per gli altri. Sto vivendo anche le responsabilità pratiche dovute al vivere lontana da casa e sto comprendendo meglio anche cosa significa essere responsabili non vivendo nello stesso tetto dei propri genitori.
Che clima si è creato all’interno del set? Ci sono aneddoti interessanti che vorresti condividere con i nostri lettori?
Si è creato un bel clima, disteso e felice. Ho stretto una grande amicizia con i ragazzi, in particolare con Alessia Cosmo, che nella serie interpreta Patti, e siamo diventate migliori amiche.
Quando abbiamo girato una scena nei pressi di Monte Acuto, eravamo in una casa in campagna con i ragazzi, Stefano Fresi e Claudio Bisio e abbiamo ordinato tutta una cena a base di tartufo. È stato divertentissimo perché, quando siamo andati al ristorante, tutto il paesino si è raggruppato al ristorante, vedendo il cast, e abbiamo cominciato a cantare i canti degli alpini.
Ti abbiamo vista anche al cinema ne “Il Grande Giorno” con Aldo, Giovanni e Giacomo. Cosa ti ha lasciato questo set?
Mi ha lasciato più leggerezza, che non significa superficialità. Mentre “Vivere non è un gioco da ragazzi” presenta sfumature drammatiche e più serie e ci sono molte scene dal tono più tragico, ne “Il grande giorno” interpreto una ragazza che vuole sedurre lo sposo. Era una situazione molto differente, eravamo sul Lago di Como e ci siamo divertiti e abbiamo riso tantissimo.
Altra strada che hai intrapreso è quella del canto. Cosa significa per te la musica invece?
Considero la musica sullo stesso piano della recitazione, ho scoperto entrambi i mondi contemporaneamente e ho sempre coltivato entrambe le strade. Per me è essenziale e vorrei continuare a fare musica anche per lavoro, contemporaneamente alla recitazione.
C’è un tipo di ruolo che vorresti esplorare in futuro?
Sì, mi piacerebbe tanto girare un film o una serie in costume. Sono un’appassionata di storia e mi piacerebbe calarmi nei panni di un personaggio vissuto in un’altra epoca per capire cosa è effettivamente cambiato. Essendo donna, a volte i personaggi femminili hanno riscontrato sempre varie difficoltà e sono stati un po’ messi da parte. Inoltre, mi piacerebbe anche mettermi alla prova con dei personaggi complessi, come un personaggio con dei disturbi psichiatrici o anche cimentarmi in una commedia. Amo mettermi in gioco in ruoli e generi differenti.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa trasmettere sempre qualcosa. Amo i prodotti che lanciano segnali e messaggi, anche se sono più velati e non immediati. Il cinema ha sempre una funzione sociale, anche la comicità fa riflettere la società odierna e rappresenta un grande modo per capire quello che stiamo vivendo e cercare di migliorare un po’ le cose.
Di Francesco Sciortino