Da lunedì 5 marzo ritornano, su Rai 1, “Le indagini di Lolita Lobosco”, fiction con Luisa Ranieri protagonista, giunta alla sua terza stagione. Abbiamo intervistato, per parlare dei nuovi episodi, Maurizio Donadoni, interprete dell’amatissimo Trifone. L’attore, che vanta un importante curriculum tra teatro, cinema e televisione, ha raccontato degli aspetti che rendono “Lolita Lobosco” un prodotto vincente per la televisione italiana, dell’importanza del portare un po’ di leggerezza agli occhi degli spettatori e di altri aspetti della serie e della sua carriera da attore. A voi…
Salve Maurizio, benvenuto su “La voce dello schermo”. Sta per tornare la terza stagioni de “Le indagini di Lolita Lobosco”. Cosa ami di Trifone?
Salve a tutti, grazie. Di Trifone amo il fatto che sia una persona completamente immersa nella realtà che vive, che non ha troppe alzate di ingegno e che, a differenza mia, non si perde tanto in letterature, in futuri e in passati ma vive il presente. Ogni volta che lo interpreto è un’occasione per vivere qualcosa che nella mia vita difficilmente passo. Vivo molto le vite dei miei personaggi, a teatro a volte faccio Riccardo III altre Otello e così via, quindi è come se non vivessi nel presente ma in realtà parallele. Quando, invece, mi capita un personaggio che, per la sua natura, struttura e scrittura, vive nel presente per me è una novità ed è qualcosa di molto leggero.
Far sorridere è pure una grande responsabilità…
Specialmente in momenti storici non semplici, quando la società non è tanto propulsiva, ci sono tanti problemi e tanti aspetti depressivi, credo ci sia bisogno di alleggerire un momento, senza dimenticare i problemi che ci sono. Non sempre si possono portare croci, non sempre si possono portare pesi, qualche volta c’è bisogno di qualche buon samaritano che si porti via le cose brutte che accadono intorno a noi. Trifone è un personaggio di questo tipo. È come quando si ascoltano in radio i programmi di calcio, per un momento non pensi ai problemi insormontabili e irresolubili. Trifone si occupa di prendere della bella frutta e verdura e di far qualcosa che possa far piacere a Nunzia. È una persona semplice ma non banale.
Secondo te quali sono i punti di forza della serie?
Sicuramente l’affiatamento che coinvolge tutti i reparti che compongono sia il cast tecnico che artistico. Fa piacere girarla, non vai mai via con l’angoscia, sorridi sempre, è recitata bene, è inquadrata bene e la qualità è alta. Tuttavia, ritengo che ci sia un qualcosa in più, che mi ha colpito sin dalla prima stagione: il fatto che si crei una simbiosi con i personaggi che interpretiamo. A volte non si capisce fin dove arrivi Lolita e dove cominci Luisa, specialmente in certe reazioni istintive o le risate. Si è limato tanto il recitare e il non recitare e secondo me la gente lo avverte perché non viene investita brutalmente, ma viene accolta dalla serie. È come un racconto che mantiene nella contemporaneità alcune caratteristiche di un mondo che non era ancora digitale. Infatti, gli spettatori possono notare che non c’è un eccesso di uso di telefonini. Le relazioni sono sempre vis à vis, vediamo i personaggi toccarsi, guardarsi, ridere e mangiare insieme. È un aspetto che colpisce la gente perché fa appello a un tipo di società e di rapporti che non sono esattamente contemporanei.
Questa stagione sarà all’insegna di?
Di qualche novità e del climax e dell’anticlimax, ovvero di qualche inconveniente e della sua risoluzione, del divertimento, del riflettere e del sognare: sognare di stare al mare. Io che sono una persona del nord appena la guardo mi viene voglia di andare al mare in Puglia e di vivere, perché quello che c’è sotto è la grande vitalità italiana. A volte inquadrare un bel mare, un bel cielo, una bella barca colorata e la natura non è per niente male. Non è un caso che questa serie si giri in estate e viene programmata sul finire dell’inverno, per recuperare la vitalità in vista dell’estate.
Ricordi qualche aneddoto dal set che ti è rimasto impresso?
Ho tantissimi bei ricordi nelle location e nella masseria che ci hanno dato in affitto durante le riprese e in cui abbiamo fatto tantissime chiacchierate. Ma non dimenticherò mai quando, durante la prima stagione, in periodo covid, la prima sera ero appena arrivato, volevo mangiare qualcosa alle dieci di sera. Sono andato al prendere qualcosa da asporto, andai in pizzeria e un signore mi disse: “Prenda una puccia”. Non sapevo cosa fosse, mi arrivò un pane da mezzo kg, con un polpo intero e peperoni! Non sono riuscito a finirlo in un giorno. Sembra nulla, ma è un qualcosa che ha a che fare con la vita e con la morte del povero polpo (ride ndr.)! Mi ha colpito molto anche l’ospitalità pugliese. Amo tantissimo l’Italia e la Puglia è come la California, con il sole e bellissimi colori. È un luogo in cui è impossibile essere depressi.
Di recente ti abbiamo visto ne “Una lunga notte” e in “Mameli”. Cosa hai amato di queste due esperienze?
Ho avuto la possibilità di raccontare un periodo affascinante e di cui si conosce poco. È il bello di fare l’attore, se chiudi gli occhi ti sembra di stare nell’epoca senza gli inconvenienti dell’epoca. Tu vedi le cose com’erano in tre dimensioni e non capita tutti i giorni. Vedi i costumi perfetti e ti accorgi anche di come si muoveva la gente. È un privilegio, come entrare in un libro di storia tridimensionale e tu ne fai parte. Ho ricordi di cose che non sono mai accadute nella mia vita. Io in “Mameli” ho interpretato Armellini e ho fatto il discorso che ha fatto lui. Ne “Una lunga notte” sono stato nel luglio del ’43 e sono ricordi di cose mai accadute. È come fare Sofocle a teatro a Siracusa: immaginare una cosa non è come la realtà ma qualcosa che gli si avvicina. Io ho ricordi di Aiace, di quello che sentiva e dei concetti che esprimeva e sono attualissimi anche oggi come: “Ora ho capito, il nemico va combattuto ma non da arrivare ai confini dell’odio” e io ho avuto la fortuna di dirlo. È ed è così anche per “Lolita Lobosco”, perché ha una funzione quasi terapeutica.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Per me la voce è molto importante, a volte ricordo meglio la voce che le facce di chi conosco. La prima dote di un attore, come mi ha insegnato un maestro come Carlo Cecchi, è l’ascolto. Per cui mi sono abituato ad ascoltare le voci. La voce ha una certa frequenza e saper adoperare le frequenze può fare breccia negli animi e depositare un seme che poi germoglierà.
Di Francesco Sciortino