Protagonista dell’attesissima “Made in Italy”, fiction con Raoul Bova e Margherita Buy che dovrebbe andare in onda in autunno; l’amatissimo PM Nardi di “Don Matteo” e apprezzato di recente al fianco di Serena Rossi in “Io sono Mia”. Avete capito bene di chi stiamo parlando. La voce dello schermo ha intervistato, infatti, Maurizio Lastrico, attore genovese di talento, molto versatile che ha presentato i nuovi progetti in uscita, ripercorrendo la propria carriera caratterizzata da teatro, cinema e tv e analizzando alcuni aspetti di questi tre mondi.
“Nel mezzo del casin di nostra vita” è uno spettacolo che stai portando in scena attualmente. Quali soddisfazioni ti sta dando?
Sono molto contento attualmente di potere recitare sia a teatro che al cinema. Mi sto godendo la possibilità di poter variegare la mia carriera. È una collection delle migliori versioni della Divina Commedia, di tutta la ricerca comica che ho fatto in questi anni, sul linguaggio, sulla commedia dell’arte e anche del cabaret classico italiano, senza provare vergogna, ma amandolo tantissimo. È presente un grande coinvolgimento con il pubblico, una grande vitalità, voglia di divertirsi e di condividere l’esperienza del teatro. È molto importante perché è la forma di arte, condivisione e di divertimento quasi più antica che abbiamo. Per me è fantastico poterlo portare in scena in un teatro, dove c’è un’attenzione di un certo tipo e si può celebrare tutto al meglio.
Un mondo a cui tieni molto è quello del teatro. Secondo te cosa andrebbe fatto per valorizzare di più questo mondo?
Penso che la cosa principale da fare è provare a lasciarlo in mano agli artisti. Bisogna trovare delle persone che lo dirigano in maniera scrupolosa e non con il solo pensiero speculativo in testa. Ultimamente sono nate tante personalità come attori, scrittori, registi ma spesso quei posti sono occupati da burocrati che spesso cercano di mettere in soggezione le leve più giovani per giustificare il loro monopolio. Oggi, per un attore di teatro, mettersi in gioco è diventato antieconomico perché o si è davvero ricchi o si è straordinariamente bravi. È veramente difficile in Italia e ci vuole tanto coraggio. Spero che a breve le persone che si giocheranno tutto sera per sera riescano a prendere in mano il teatro con responsabilità e creatività.
Presto ti vedremo in “Made in Italy”. Cosa puoi dirci a riguardo?
Ho delle grandissime aspettative. Ovviamente trovarsi all’interno della serie ti fa vivere la situazione in maniera diversa rispetto al pubblico, ma promette davvero bene. È una grande ricostruzione degli anni 70, che descrive Milano in un momento di fortissima spinta economica. Sono presenti grandi attori come Margherita Buy e Raoul Bova. È un lavoro meticolosissimo dei due registi, che l’hanno sia scritta che diretta. È una serie onesta, sincera, profonda.
Puoi presentarci il tuo personaggio?
Io interpreto un ruolo molto spiazzante, in cui la parte comica e drammatica si fondono in maniera molto efficace insieme. Sono un grafico genovese che ha mollato la sua famiglia, che seguirà un amore “proibito” e anche l’amore per la sua professione. È molto positivo e lotterà molto.
Hai altri progetti da presentarci?
Attualmente mi sto dedicando a “Il Processo” con Vittoria Puccini e presto tornerò in “Don Matteo”. In particolare, mi aspetto una bella evoluzione che riguarda il PM Nardi e sono curiosissimo di poterlo interpretare per un’altra stagione con maggiore coscienza, complessità del personaggio e tanta leggerezza.
Riguardo due fiction Rai di cui hai fatto parte, “Don Matteo” e “Tutto può succedere”, cosa ricordi con maggiore piacere di queste due esperienze?
Riguardo “Tutto può succedere” ricordo con grande nostalgia il rapporto con gli attori e con il regista. È stata l’occasione per cercare un linguaggio efficace e ho tanti bei ricordi, come i siparietti con Sermonti. “Don Matteo”, invece, è stato per me un ritorno a lavorare in gruppo, dopo tanti anni in solitaria a “Zelig” e ne avevo un così grande bisogno che l’entusiasmo nel recitare in questa serie mi ha portato a viverla quasi come una vacanza scolastica. Ho investito tanto a livello di coinvolgimento che per me, genovese, restio, guardingo e diffidente, è stato un grande passo. Il mio ricordo più bello di questa fiction è stata l’attenzione e la meticolosità nel cercare di fare bene in un prodotto leggero e pop. Perché è una grandissima opportunità e anche una piccola responsabilità fare al meglio un prodotto destinato a tantissime persone. Sia perché, come diceva De André, “Poi la gente ci crede” e sia perché, per chi vorrà fare questo mestiere in futuro, è utile cercare un modo attraente di affrontare questo mestiere.
Di recente hai fatto parte di “Io sono Mia”. Cosa hai provato a far rivivere il mito di Mia Martini?
Mi sono tanto identificato in Mia Martini e dover girare delle scene in cui compivo atti poco carini nei suoi confronti mi sembrava quasi dissacrante e mi creava un effetto respingente. È stata un’esperienza magnifica e sul set si respirava la poesia del suo personaggio. Credo e spero di aver rubato a Serena Rossi un po’ della sua professionalità e leggerezza e sono contento e orgoglioso di aver fatto parte di un prodotto che ha funzionato.
Un altro programma a cui sei stato legato è “Le Iene”. Quanto sei “iena” tu?
In realtà non molto. Non sono così cattivo, tranne che quando mi infervoro sulle mie cose. Penso che quel tipo di atteggiamento sia molto salutare e molto importante ma non tutti sono propensi ad averlo. Nonostante ciò, quel lavoro mi è piaciuto molto, mi sono trovato benissimo con gli autori e con Parenti e spero che in futuro Mediaset e Rai abbiano il coraggio di dare la possibilità a qualche comico di potersi dedicare a fare qualcosa di efficace e nuovo. Per fare questo è necessario fare tanta pratica sui pezzi che si vorranno fare nei club per poi portarli in tv.
Quale pensi sia stato il personaggio che hai interpretato che ti abbia rappresentato di più?
Non lo so, sinceramente credo di non essere ancora incappato in un personaggio in cui identificarmi a pieno. Questo è il bello di questo mestiere: si interpretano e si amano tanti personaggi ma, in fin dei conti, non rappresentano mai in toto noi stessi. Forse nel Pm Nardi di “Don Matteo” c’è la possibilità di trovare molti aspetti miei. Tuttavia, anche in Filippo di “Made in Italy” ho raccontato una parte di me, che non coincide con me ma che rappresenta la mia follia e un dark side mio. È molto interessante poter vivere aspetti della propria personalità che non possono emergere nella vita di tutti i giorni.
C’è un ruolo che avresti voluto rubare a qualche tuo collega?
Questa è una bella domanda (ride ndr.). No, di base no. Spero che i registi e chi si occupa dei casting immagineranno e troveranno dei bei personaggi su di me. Mi piacerebbe fare un bel personaggio comico in una commedia ben strutturata oppure interpretare un personaggio che richiede molto studio e molta preparazione.
Questo portale si chiama “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
La voce dello schermo è uno degli specchi della società di oggi e deve essere una delle tante voci all’interno di una pluralità, in modo da potersi fare un’idea in più di questa. Spero che possa diventare un amplificatore di ciò che funziona nella vita reale e non un camuffamento della semi realtà.
Di Francesco Sciortino