“La voce dello schermo” ha intervistato Giorgia Faraoni, che vedremo da queste settimane su Prime Video in “Andrà tutto bene” di Alessio Gonnella e che si è fatta apprezzare da Rossella Inglese prima nel cortometraggio “Eva” e poi nel lungometraggio “Le origini del mondo”, ispirato al corto. Oltre a queste esperienze lavorative, Giorgia ha saputo conquistare la fiducia di uno dei registi più interessanti del panorama italiano, Ivano De Matteo, e in “Mia” ci ha regalato un’altra interpretazione degna di nota.
L’attrice si è raccontata parlando di quanto il personaggio di Eva ne “Le origini del mondo” le abbia permesso di esplorare una grande autenticità e una grande forza; di come il periodo del Covid – raccontato in ‘Andrà tutto bene’ – sia stato un momento di profonda riscoperta di sé stessa; di quanto sia stato fondamentale per lei conquistare la fiducia di Ivano De Matteo durante l’esperienza in “Mia”; e di altre curiosità che la riguardano.

Styling: Alex Sinato
Press: Sara Battelli
Ti abbiamo vista di recente ne “L’origine del mondo”, di Rossella Inglese. Che esperienza è stata per te?
Nonostante non sia stato il mio primo film da protagonista, l’ho avvertito il “mio” film perché mi sento profondamente attaccata a Eva. È il personaggio che mi ha dato di più, lo avevo conosciuto già nel cortometraggio, ha rappresentato il mio primo ruolo in assoluto e mi ha portato a Venezia. Prima di girare il film avevo, quindi, una piccola infarinatura del personaggio. Interpretare Eva è stato catartico, mi ha lasciato tantissimo, mi ha sorpreso e possiede una forza e un’autenticità notevole. Per il forte legame che ho avuto con lei, sto avendo ancora fatica a lasciarla andare ma piano piano ci sto riuscendo. È stata un’esperienza importantissima, che mi ha cambiato sia umanamente sia professionalmente.
Com’è stato affrontare questo percorso dal cortometraggio al lungometraggio?
Il corto è arrivato in un momento in cui avevo deciso da due anni di cominciare a conoscere questo mondo. Durante quel periodo, stavo leggendo vari libri di maestri di cinema in cui venivano spiegati i loro metodi. Trovai, allora, su Internet questo casting e tra me e Rossella è stato amore a prima vista. È la prima regista che ha visto qualcosa di speciale in me e questo aspetto mi ha fatto sentire molto grata. Girare con lei è stato tutto molto semplice e si è creata una simbiosi: quello che richiedeva era talmente intuitivo e in linea con il mio modo di recitare da rendere tutto molto naturale.
Che lavoro è stato fatto per entrare nei panni di Eva?
Abbiamo lavorato sulla psicologia iniziale ed era fondamentale per me avere una mia purezza e chiarezza. Una volta che mi sono connessa mentalmente a Eva, il lavoro sul personaggio, sul corpo e sulla voce è arrivato di conseguenza. Ci siamo confrontati tanto sulle varie scelte e per il resto ce la siamo vissuta. Ho cercato di proteggere Eva sin dall’inizio del film, perché l’ho sempre reputata fragile, piena di rabbia, debole e vittima del senso di colpa che si porta addosso. La forza che ha mostrato nel finale, la voglia di reagire, di rimettersi in gioco, di distruggere tutto per ricreare un nuovo ordine mi ha sorpreso. C’è stato uno scambio appagante con lei.
L’interpretazione di Eva ti ha portato a raccontare sentimenti come il dolore e il senso di colpa. Un’attrice come riesce a dare autenticità ai sentimenti che racconta?
Sono molto istintiva. Quando c’è la necessità di mettere in scena dei sentimenti così intensi, occorre trovare dentro di noi un dolore molto forte. Ovviamente, non si tratta della stessa situazione perché non ho vissuto ciò che ha vissuto lei. Tuttavia, il dolore e il senso di colpa devono provenire da me e devono essere le mie cicatrici.
Hai dovuto affrontare anche una trasformazione fisica e mentale. Com’è andata?
Rivedendomi, mi rendo conto che sono diventata completamente un’altra persona. Tuttavia, non c’è stato uno studio a tavolino, ma ho lavorato tantissimo sulla psicologia e il corpo ha seguito la mente in maniera spontanea.
Quali emozioni ti provoca trasformarti?
È uno degli aspetti più belli del mio lavoro. Eva sembrava una ragazza più piccola della mia età, aveva un look diverso dal mio e vestiva in un modo che non mi apparteneva più. Era più adolescenziale e con la frangetta, mentre in “Mia” di Ivano De Matteo ho interpretato una ragazza tossicodipendente e avevo i dread, affrontando un altro tipo di cambiamento fisico. La trasformazione è un processo bellissimo, che mi diverte tanto e che mi permette di entrare ancora di più nella psicologia del personaggio interpretato. Non vedo l’ora che mi ritaglino i capelli in un film e che mi si venga chiesto di cambiare il più possibile!
Cosa ti ha lasciato “Mia” e il lavoro con Ivano De Matteo?
Ivano è un grandissimo professionista ed è un regista di altissimo livello. Tutte le mie scene erano con Edoardo Leo. All’inizio ero un po’ intimorita, perché le mie uniche esperienze erano il cortometraggio e “Andrà tutto bene” e non mi ero mai trovata all’interno di un set del genere. È stata la prima volta che mi sono resa conto di avere le mie carte da giocare e che ho messo da parte le mie insicurezze, essendo un’autodidatta. Quel set mi ha fatto capire quali fossero i miei punti di forza. Ivano mi ha fatto un regalo immenso dicendomi: «Hai dato molto spessore e profondità al personaggio. Si vede che ci hai messo l’anima, ti ringrazio».
“Andrà tutto bene” di Alessio Gonnella è un altro film in cui ti abbiamo vista e che è possibile vedere su Prime Video. Cosa ricordi di questo set?
È il mio primo lungometraggio e l’ho fatto un mese dopo il corto “Eva”. Non lo dimenticherò mai perché è stato quasi paradossale girarlo tutto all’interno di una casa, durante i mesi del lockdown e ambientarlo proprio in quel periodo storico.
Quali corde ti ha permesso di esplorare il personaggio di Aniko?
Aniko mi ha dato tantissimo ed è una ragazza che appare molto forte, leggera e sicura di sé, ma che in realtà si mostra più concreta, con molte più paure, insicurezze, dubbi sul futuro di quanto non lasci intendere. Mi piacciono molto personaggi che si scoprono diversi rispetto a quello che mostrano. Ci abbiamo creduto tantissimo tutti ed è una commedia un po’ malinconica, che ti fa sorridere ma ti lascia domande. Credo sia giusto farlo uscire adesso su Prime, dal momento che il periodo del Covid è stato metabolizzato e può essere guardato con un occhio diverso.
C’è qualcosa che hai imparato durante il periodo del Covid?
Mi ha portato a riscoprirmi e a reinnamorarmi della vita. Credo ci siano due tipi di persone che hanno vissuto quel periodo: chi aveva una vita lineare, magari si è fatto delle domande e gli si sono presentate davanti delle preoccupazioni; e chi si era interrogato tanto prima, che si era limitato e recluso per motivi futili e che – quando ha visto che tutti si sono fermati – ha capito che eravamo sulla stessa barca. Io mi ritengo all’interno di questa categoria e ho vissuto il lockdown come se mi fosse stata data un’altra chance per la vita. Da lì sono cominciati altri progetti lavorativi. L’essere aperta, conoscere persone e vivere la vita mi ha permesso di attuare questo scambio che ci consente di dare e ricevere emozioni.

Styling Alex Sinato
“No way out – senza via d’uscita” di Dario Germani, invece, in che modo ti ha arricchito?
È stato il mio primo horror, la ricordo come un’esperienza molto intensa, che mi ha portato dall’altra parte del mondo, alle Filippine, immersa in una nuova realtà, con le persone del posto e mezza troupe filippina. C’è stata una bellissima connessione a livello umano.
Cosa ami della recitazione?
È iniziata come un’urgenza e un bisogno egoistico per tirare fuori delle emozioni scavate dentro di me. Ho sempre fatto fatica a controllarle, capirle e a darle una voce. Avevo provato con altre arti, ma il cinema mi ha scelta, arrivando per caso. Da lì è iniziato questo gioco per conoscermi e per esplorare me stessa. Adesso ho una consapevolezza diversa ma lo vedo sempre come un bisogno interno, che ha come conseguenza il poter regalare emozioni e fare arte. Mi piace avere la possibilità di innamorarmi del personaggio, di sentire che posso lasciarci dentro una parte di me e di ricevere qualcosa. Recitando mi posso permettere di essere fragile, arrabbiata, triste e mostrare questi stati d’animo che nella vita reale magari teniamo più per noi e nascosti.
Come ti piacerebbe metterti alla prova in nuove sfide lavorative?
Sicuramente facendo un action o esplorando personaggi più forti, sto lavorando su me stessa per quanto riguarda questo aspetto e credo mi potrei divertire a interpretare una donna molto sicura di sé. Ho appena terminato le riprese di un cortometraggio e spero possa fare un bel percorso ai vari festival.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa ascoltare la propria anima perché lo schermo è quel vetro che ci permette di entrare all’interno di ciò che sentiamo.
Di Francesco Sciortino

