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Intervista al regista Daniele Barbiero: “In ‘Squali’ racconto una storia inedita per il cinema italiano. Vi svelo come ho convinto James Franco” Il regista presenta il film, attualmente nelle sale, con protagonisti Lorenzo Zurzolo, James Franco, Ginevra Francesconi, Francesco Centorame e Francesco Gheghi.

Ott 17, 2025
Foto di Emanuele Giacomini

È uscito nelle sale, giovedì 16 ottobre, “Squali”, lungometraggio diretto da Daniele Barbiero con protagonisti Lorenzo Zurzolo, James Franco, Ginevra Francesconi, Francesco Centorame e Francesco Gheghi. Il film, presentato anche ad Alice Nella Città, approda al cinema con grandissime aspettative e mostrando sin da subito una grande ambizione sia per gli attori coinvolti sia per uno stile che, da una parte, sembra strizzare l’occhio al cinema hollywoodiano e, dall’altra, presenta dei tratti distintivi che fanno di Barbiero uno dei giovani registi più interessanti del panorama italiano.
Abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo”, proprio Daniele Barbiero che ci ha presentato “Squali”, ci ha confidato come abbia fatto a convincere una star internazionale come James Franco e a formare una squadra così importante e ci ha regalato alcune considerazioni sul mondo della regia e sulle altre esperienze della propria carriera, come la serie tv “Clan – scegli il tuo destino”. A voi…

Foto di Emanuele Giacomini

È uscito “Squali”, com’è nato questo film?

“Squali” rappresenta la mia opera prima cinematografica, dopo il debutto televisivo con la serie “Clan – Scegli il tuo destino”. Ho aspettato diversi anni il mio esordio cinematografico, quando mi sono state proposte questa storia e queste tematiche, ho trovato dei temi e dei personaggi che mi incuriosivano e mi sono voluto mettere alla prova. Quindi ho chiesto alla sceneggiatrice con la quale collaboro di aiutarmi a portare il film sulle mie corde. È iniziata un’avventura che in due mesi mi ha portato sul set, abbiamo curato il casting e siamo partiti.

Cosa possiamo dire riguardo la trama?

Parte dal libro di Giacomo Mazzariol e prosegue per la sua strada. Racconta di Max, un ragazzo del Veneto che all’alba della maturità inventa un’app che consiglia agli studenti che la usano quale percorso universitario intraprendere, secondo le proprie caratteristiche. In realtà Max non sa cosa fare della propria vita, carica quindi quest’app online e viene notato da un guru del mestiere, interpretato da James Franco. Il protagonista dovrà decidere, allora, se rimanere a Roma e puntare tutto sull’app e sulla carriera oppure tornare dai propri amici.

Come hai lavorato sulla trasformazione dal romanzo al film?

L’opera prima è un film che ti accompagna a ciò che verrà dopo, ho cercato di potenziare la storia con la sceneggiatrice Costanza Bongiorni. Da un lato, ho provato a rendere il film un po’ più mio e più incline al mio sguardo. Da un altro, ho aggiunto qualche tematica come il rapporto padre – figli, l’ambizione dei propri sogni e ho lavorato per mettere in risalto altri temi già presenti come il benessere mentale di ragazzi che si trovano davanti a delle scelte da fare in poco tempo, perché la società ce lo impone e la pressione sociale aumenta sempre di più sui giovani. Ho voluto paragonare, per certi versi, questa tematica del film e la realizzazione dell’opera prima, essendoci voluti dieci anni prima di realizzare un lungometraggio.

Tanti aspetti ci fanno percepire uno stile internazionale, con riferimenti al cinema americano…

Sono un figlio degli anni ’90, sono cresciuto con Steven Spielberg e con il senso di meraviglia. Il cinema americano ha avuto enorme influenza sul mio gusto e sul mio modo di intraprendere e di vedere le opere filmiche e il cinema in generale. Negli anni ho costruito uno sguardo che punta su look e tecniche internazionali, che riguardano anche il montaggio e le musiche, integrandolo con un gusto italiano, perché sono storie ambientate in Italia, tra Veneto e Roma, ma che potrebbero essere universali e appartenenti a ogni del Mondo. È uno stile che perseguo dai cortometraggi. Ad esempio, ho voluto raccontare il Veneto visivamente come un piccolo Far West. Nonostante sia nel Nord Est dell’Italia, infatti, mi piaceva l’idea dei paesaggi sconfinati e di territori interessanti da scoprire. Vengo da Roma, facendo il percorso inverso del protagonista e vedendo certe dinamiche, ho voluto raccontare la noia estiva e il caldo di quei posti in piena estate.

Come sei riuscito a coinvolgere James Franco?

Dopo aver letto libro e sceneggiatura, ho iniziato a fantasticare sulla possibilità di prendere un attore americano, sia per rendere il film internazionale sia come scelta registica perché in Italia ancora il pubblico non è abituatissimo a vedere prodotti che parlano di tecnologie e intelligenza artificiale. Mettere una figura americana ha aiutato a rendere più credibile la vicenda perché non avevamo il tempo per spiegare dettagliatamente la parte hi-tech e non rappresentava il cuore del film. Oltre al fatto che è un grandissimo attore, la presenza di Franco mi ha aiutato a smarcarmi da possibili reticenze del pubblico alla credibilità. Ti pone dentro la storia e credi che questo americano possa aver creato questo piccolo impero delle app. Ti porta a stare maggiormente attaccato alla storia senza distrazioni.

Come si punta così in alto?

Sin dai corti ho sempre puntato in alto, essendo molto ambizioso. La possibilità di sognare in grande non te la leva nessuno. Poi devi comunque scontrarti con le possibilità che hai e in Italia ne abbiamo meno dal punto di vista del budget, ma devono intervenire qui le idee. La fortuna è stata che sia Eagle sia la produzione, Camaleo, hanno avallato questa scelta e c’è stata la possibilità di poter provare a proporre il film a James Franco. Per quanto mi riguarda, rappresentava la scelta di casting più ovvia: a livello fisico era perfetto e le sue origini americane erano importanti. È stato un processo naturale. Quando realizzo un film o una serie tv l’ambizione è sempre alta, tentare non costa nulla. Quando abbiamo contattato James ci rispose che normalmente non fa opere prime; tuttavia, si è fidato di ciò che volevo da lui e che volevo di questo film. Siamo stati un’ora a parlare e l’ho convinto.

Foto di Emanuele Giacomini

Oltre a James Franco, il film vanta quattro giovani top della recitazione italiana, come Lorenzo Zurzolo, Ginevra Francesconi, Francesco Centorame, Francesco Gheghi…

Sì, abbiamo fatto dei casting. Lorenzo era già nel progetto. Ho cercato di costruire un gruppo di amici eterogeneo e di donare molta verità sul Veneto grazie a un coach. Non è stato facile trovare qualcuno che fosse bravo, credibile ma allo stesso tempo giovanissimo. La scelta è ricaduta sulle persone che abbiamo reputati più giusti per quei ruoli. Insieme hanno creato una squadra di giovani molto affiatata che sembra un gruppo di ragazzi di provincia. È bello lavorare con giovani d’esperienza perché riesci ad andare in profondità ed è anche molto interessante quando scopri un giovanissimo attore che ti porta a fare quello che vuoi fare, che è difficile poi da replicare.

Perché il pubblico dovrebbe vedere “Squali”?

È una storia diversa per il cinema italiano. È un film non facilmente collocabile all’interno di un solo genere. Banalmente potrebbe essere definito un “Coming of Age” che ha elementi dell’aspetto finanziario e sull’amicizia e l’appropriazione di noi stessi. È un viaggio interiore ed esteriore del protagonista e degli altri suoi amici e credo che il pubblico possa immedesimarsi a prescindere dall’età. È un film rivolto ai giovani ma anche ai più grandi perché non vuole insegnare nulla, vuole porre l’attenzione su una storia e lascia a tutti una risposta che ognuno può avere. Preferisco lasciare qualche interrogativo e poi ognuno, a casa, potrà farsi una sua opinione e rivedere un po’ di sé stesso nel film.

Riguardo “Clan”, com’è andata questa esperienza?

Mi hanno proposto questa serie e l’idea mi piacque sin dall’inizio. Parlava di ragazzi in un ambiente difficile, ma lo faceva con uno sguardo diverso rispetto a tutta la serialità che c’era stata fino a quel momento. Non seguo una linea guida precisa, la mia idea è quella di svariare e di cercare di non fare sempre la stessa cosa. Credo che “Squali” sia per certi versi una sua evoluzione. In “Clan” ho lavorato con attori giovanissimi, di circa tredici-quattordici anni.

Ogni regista ha il proprio marchio di fabbrica, i propri tratti distintivi, la propria “Z di Zorro”. Pensi di averne qualcuna?

Credo che sia una risposta che dovrebbe dare più chi vede i miei lavori. Parlando con chi incontro in giro e con chi vede i miei prodotti mi dicono sempre: “Si vede che c’è la tua mano”, ma non so il motivo. Probabilmente dal grande entusiasmo che metto nelle cose, dallo stile di regia e di look fotografici – che decido insieme a direttori della fotografia – e da un gusto spiccatamente internazionale. L’aspetto che più amo è porre l’attenzione sulla recitazione, su un contesto credibile e donare un po’ di realismo magico, sequenze sognanti o interiori all’interno dei progetti e passare da un contesto veritiero a qualcosa di più interiore e sognante.

Com’è stato entrare nel cinema e nella serialità che conta?

È figlio di un percorso tosto. Nonostante quello di regista sia un lavoro bellissimo, le opportunità non sono mai troppe e ogni volta bisogna sfruttarle al massimo e provare a guadagnarsi qualcosa per il futuro. Una volta terminato un progetto, ne cerchi un altro e riparti. È un percorso che ha impiegato diversi anni, dal 2014 fino al 2024 e arrivato a un punto importante con l’uscita nel 2025. L’ho sentito come un proseguimento naturale della mia carriera e del mio modo di lavorare. Avevo bisogno di una narrazione più estesa e di mettermi in gioco per alzare l’asticella, per potermi tenere attivo e per seguire qualcosa che inizialmente può sembrare impossibile ma che ho sempre voluto fortemente. La vera forza di un regista la si vede quando riesce a coinvolgere i propri collaboratori quando si ha soltanto un’idea in testa.

Dove vorrebbe arrivare Daniele?

Non mi pongo né troppi limiti né troppi obiettivi. Sicuramente lontano, quanto più potrò andare avanti più sarò contento. Non so se si esaurirà mai questa voglia e fino a che avrò questo fuoco vivo voglio cercare di andare più avanti possibile.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Sicuramente l’esperienza in sala, secondo me, non è sostituibile, e la voce che trasmette quello schermo è qualcosa di magico. Mi auguro possa resistere per le emozioni che riesce a darti. Ad esempio, “Squali”, sul grande schermo e con un impianto audio-corretto rimanda a delle sensazioni che sarebbe difficile raggiungere a casa.

 

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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